Fino a poco tempo fa investire il proprio denaro tenendo conto dell’impatto sul mondo, misurando il ritorno sociale e non solo economico era una prerogativa delle famiglie ricche, di associazioni filantropiche, di fondazioni e di pochi investitori istituzionali guidati da principi religiosi.
Tanto che proprio su questi temi è prevista in Vaticano dal 26 al 28 giugno la seconda edizione della Vatican Conference on Impact Investing fortemente voluta da Papa Francesco, che non ama il capitalismo, ma si è battuto per gli investimenti a che possono portare un beneficio alla comunità oltre che generare rendimenti finanziari. La ragione? Per il Papa “è sempre più intollerabile che i mercati finanziari abbiano il potere di plasmare il destino dei popoli piuttosto che servire i loro bisogni”.
L’origine dell’impact investing non è però religiosa ed è un affare di mercato. A coniare il termine nel 2008 è stata Jp Morgan insieme con Rockefeller Foundation che doveva catalogare una serie di investimenti con scopo benefico e umanitario. Così è nata questa nuova classe di investimenti il cui valore, secondo calcoli del Global Impact Investing Network (GIIN), che si occupa di monitorare il settore, è arrivato a 77,4 miliardi di dollari di asset nel 2015 con un totale di 15,2 miliardi di dollari di capitali investiti direttamente in impact investments e con una crescita attesa del 16% e 17,7 miliardi di dollari nel 2016. E quel che più conta è che proprio gli asset manager, secondo l’analisi GIIN, sono destinati a raddoppiare la loro quota di impact investment in portafoglio dai 6,7 miliardi del 2015 ai 12,4 miliardi nel 2016.
L’esempio di Papa Francesco, dunque, sta facendo proseliti tra gli asset manager che hanno colto l’opportunità di creare prodotti sotto l’ombrello dell’impatto sociale, facendo un passo ulteriore rispetto ai fondi socialmente responsabili (SRI) verso fondi che hanno un mandato Environmental, social and corporate governance (ESG) con in portafoglio società rispettose dell’ambiente, della governance e socialmente responsabili che hanno mostrato di rendere bene anche in tempo di crisi.
Il mandato/obiettivo dei fondi a impatto è ampio. Spesso questi prodotti investono in progetti di microfinanza in aree emergenti, aiutano l’imprenditoria femminile, finanziano infrastrutture in Paesi in via di sviluppo, difendono il patrimonio forestale, finanziano l’edilizia da immettere sul mercato a prezzi agevolati. Secondo l’analisi GIIN i temi su cui i portafogli di questi fondi si concentrano sono due:
- I temi a impatto sociale: l’accesso ai finanziamenti, l’occupazione, il miglioramento della salute, l’istruzione e la crescita del reddito.
- I temi a impatto ambientale: energie rinnovabili, l’efficienza energetica, tecnologia.
Impact investing: Howard Buffett e i gestori investono
Per gli asset manager non si tratta di una scelta esclusivamente filantropica. L’impegno verso questi temi è anche politico: i Paesi del G8 hanno deciso di incoraggiare gli impact investments e gli Stati Uniti, per esempio, hanno già previsto benefici fiscali per fondazioni e fondi pensione che adottano questi investimenti. È il segnale che il mercato è destinato a crescere e i big dell’asset management vogliono giocare la partita.
Così Goldman Sachs ha acquisito Imprint Capital, uno boutique specializzata nella gestione di questi asset, e Bain Capital ha lanciato insieme con l’ex governatore del Massachussets, Deval Patrick, il più grande fondo di private equity del settore. Della partita è anche un nome noto della finanza: Howard Buffett, nipote di Warren fondatore del Berkshire Hathaway.
Sessanta anni fa, Buffet senior insieme con Benjamin Graham inventava alla Columbia University il suo metodo value per investire, oggi il nipote teorizza che il futuro sia tenere conto dell’impatto che gli investimenti hanno e ha lanciato il fondo i (x) Investment che punta prevalentemente su società che si occupano del tema della scarsità d’acqua e di agricoltura sostenibile. Anche BlackRock si è impegnata nel settore con il lancio di due fondi azionari che selezionano titoli in portafoglio secondo l’impatto e privilegiano società che facciano innovazione per l’ambiente, abbraccino temi di corporate citizenship e portino avanti progetti di ricerca.
IDEE DI INVESTIMENTO
La gestione responsabile diventa un asset fondamentale per i gestori. Ne sono convinti i consulenti di Willis Towers Watson che nell’indagine Global Investment Matters 2016 hanno sottolineato come questo sia ormai un requisito fondamentale per gestire mandati di investimento. La ragione? Gli investitori vogliono avere un’idea sempre più chiara dei rischi con cui hanno a che fare i gestori dei loro patrimoni, sia a livello di portafoglio sia sulla strategia generale. Ma i fondi che tengono conto dell’impatto rendono? Secondo l’analisi del Global Impact Investing Network (GIIN), basata su 158 soggetti mondiali che hanno una gestione di investimenti a impatto, il 99% del mercato ha rendimenti in linea con le attese e solo il 27% ha un risultato di outperformance. Sul mercato Italiano dei fondi è ancora difficile trovare prodotti che applicano questi principi. Ecco chi lo fa:
- Investimenti Sostenibili A è un fondo bilanciato prudente gestito da Sella Gestioni. In precedenza il fondo si chiamava Nordfondo etico obbligazionario, oggi ha cambiato nome. Sella Gestioni è la società italiana che maggiormente si impegna nell’impact investing e negli ultimi 15 anni ha destinato oltre 1,3 milioni di euro. Il fondo rende il 3,84% a tre anni. Gli investimenti di natura azionaria sono consentiti fino ad un massimo del 30%.
- UBI SICAV Social 4 Future C EUR Inc è un bilanciato prudente che fa capo a Ubi Pramerica, società di gestione italiana che si è distinta per gli investimenti etici. Il fondo è partito a marzo 2016 e non ha ancora un track record sufficiente per essere monitorato con un grafico. Costruisce il portafoglio seguendo principi di eticità e responsabilità sociale. Il collocamento si è chiuso a febbraio e ha registrato sottoscrizioni per circa 280 milioni di euro. Parte delle commissioni del primo anno saranno devolute al progetto Youth&Innovation dell’Unicef, per sostenere la formazione di 3 mila giovani siriani, palestinesi e libanesi.
Note
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