Non c’è solo il rischio Brexit a minacciare l’euro e le fragili economie dell’Unione Europea (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim). Sotto attacco c’è il Trattato di Schengen, uno dei fondamenti stessi dell’Europa unita che ha ormai 21 anni e ha sancito un principio importante: la libera circolazione delle merci e delle persone dei Paesi aderenti, abbattendo le frontiere. L’ultimo Paese a mettere in discussione questo principio è l’Austria che ha deciso di spendere 1,1 milioni di euro per i lavori al confine del Brennero necessari per fermare l’afflusso di richiedenti asilo.
Il clima è decisamente cambiato rispetto al 2004 quando il Trattato ha vissuto il suo momento più alto e l’ultimo ingresso importante di Paesi aderenti (Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Malta). Adesso sta vivendo il suo momento più basso con i ministri dell’Interno dell’Unione Europea che stanno discutendo da tempo la possibilità di sospendere totalmente il trattato per due anni, a causa dell’enorme flusso di migranti da Siria e Africa e soprattutto a causa degli attentati terroristici prima a Parigi e poi a Bruxelles.
Per l’economia dei Paesi Ue il rischio è alto e si chiama “frammentazione”. Lo ha ribadito il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ha messo in guardia dalle conseguenze per l’Unione Europea sia di Brexit, sia di un ridimensionamento di Schengen che metterebbero in discussione l’intero progetto europeo. E non solo. L’addio a Schengen per Morgan Stanley costerebbe subito lo 0,2% del Pil europeo pari a circa 28 miliardi di euro, più del doppio rispetto alla stima della Commissione europea che ipotizza una perdita “solo” dello 0,1%.
Ma c’è chi dipinge uno scenario ben più drammatico. Per France Strategie (Leggi qui il documento), società di analisi che fa capo al Governo francese, infatti, il calo del Prodotto interno europeo potrebbe essere dello 0,8% con un costo stimato fino a 110 miliardi l’anno di cui 28 miliardi solo per la Germania, 13 miliardi per l’Italia, 10 miliardi per la Spagna e 6 miliardi per l’Olanda.
Sono i costi del ripristino delle frontiere: secondo lo studio, due agenti per ognuno dei 3.100 posti di confine cancellati da Schengen costerebbero almeno 300 milioni l’anno.
E poi ci sono i disagi sui tempi che, in alcuni casi, sono già operativi. Si tratta, per esempio, del ripristino dei controlli del ponte che porta da Copenhagen a Malmo e collega Danimarca e Svezia: i tempi si sono allungati di circa 45 minuti e il costo è di 150 mila euro al giorno. Il costo più importante è senza dubbio quello a carico del trasporto merci su gomma: in Europa circolano 60 milioni di mezzi pesanti l’anno. E poi c’è il turismo: l’assenza di libera circolazione potrebbe costare un calo medio delle presenze del 5% solo in Francia.
IDEE DI INVESTIMENTO
A pagare il conto più salato di Schengen sarebbero i Paesi più piccoli e più dipendenti dagli scambi interni all’Unione, come la Slovacchia che basa il 70% dell’economia sui rapporti commerciali con gli altri Paesi Ue. Ma anche Estonia, Croazia e Lussemburgo sarebbero fortemente penalizzate dalla frammentazione.
L’impatto economico è diverso a seconda dei settori. Per Morgan Stanley i settori più colpiti sono: i trasporti, il turismo, la grande distribuzione e l’industria; i meno colpiti sono l’immobiliare, l’agricoltura e i servizi pubblici.
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