Come conseguenza della quarta rivoluzione industriale non si sa quanti posti di lavoro verranno a mancare, ma si sa che tutti i posti di lavoro cambieranno. E il cambiamento porta occupazione. I robot, insomma, non rubano lavoro, anzi lo creano. Secondo lo studio Future Jobs 2018 del World Economic Forum (WEF) infatti, entro il 2025 la digitalizzazione dell’industria porterà alla creazione di 133 milioni di posti di lavoro a livello globale più che compensando la perdita stimata di 75 milioni di posti di lavoro che scompariranno. In pratica, secondo lo studio del WEF, la rivoluzione digitale che ha innescato la quarta rivoluzione industriale ripropone un modello economico già visto nella storia, ridisegnando il mercato del lavoro esattamente come fecero, per esempio, altre innovazioni “disruptive” per le imprese come il motore a scoppio e l’elettricità.

Il tema, dunque, non è tanto se i robot rubano il lavoro all’uomo, ma come l’uomo può mettersi al passo con questa rivoluzione attraverso una formazione continua che crei nuove competenze. La formazione, per Wolfang Schroeder, professore di scienze politiche all’Università di Kassel, inventore della definizione Industria 4.0 e autore del manuale Il mio collega robot?! Il lavoro dell’uomo al tempo delle macchine, è la vera sfida da vincere per imprese e Paesi nella definizione di una politica industriale davvero efficiente nell’era della digitalizzazione. Schroeder fa l’esempio della Germania dove sono attivi ben sei ministeri che si occupano di innovazione e digitalizzazione industriale ed è convinto che saranno proprio i settori dove oggi c’è meno occupazione, come l’agricoltura, a beneficiare della rivoluzione industriale in atto.

La differenza non la faranno le macchine ma le persone e non c’è dubbio che chi smetterà di formarsi e studiare sarà svantaggiato e destinato ad uscire dal mondo del lavoro. Il rischio, al di là del settore di occupazione, è ovviamente più alto per i lavoratori più anziani. Il trend emerge chiaramente dallo studio The Twin Threats of Aging and Automation a cura delle società di consulenza Mercer e Oliver Wyman che analizza due megatrend in atto: l’invecchiamento della popolazione e l’automazione dell’industria. Il risultato? Quasi il 60% delle attività svolte dai lavoratori più anziani può già oggi essere facilmente automatizzata. Lo studio di Mercer Oliver e Wyman non fa altro che confermare la direzione che il lavoro sta prendendo oggi e che è ben descritto nel manuale Il lavoro che serve. Persone nell’industria 4.0 (Guerini e Associati) scritto da Annalisa Magone e Tatiana Mazali. La conclusione è che le persone nell’era digitale devono rendersi necessarie sviluppando competenze che una macchina non potrà mai avere e pone l’accento sulla cultura digitale di impresa sullo sviluppo organizzativo e su nuove regole che il mercato del lavoro deve darsi a livello globale.

IDEE DI INVESTIMENTO

I primi studi per stabilire quanto i robot possono impattare sul mondo del lavoro risalgono al 2013, quando Martin Frey e Carl Osbourne dell’Università di Oxford introdussero il concetto di indice di rischio di sostituzione nello studio The Future of Employement: how susceptible are jobs to computerisation che è preso come punto di riferimento per tutte le ricerche sul tema. Da allora l’industria 4.0 ha fatto molta strada e oggi anche il robot sembra antico, sostituito da un altro termine, “cobot”, ovvero da macchine di nuova generazione che sono progettate proprio per lavorare al fianco delle persone, garantendo la transizione dell’industria verso l’automazione. In termini di investimento, lo sviluppo dell’industria 4.0 è un megatrend di lungo periodo che governa le imprese. Secondo lo studio Industry 4.0: get ready to the disruptive wave della società di consulenza McKinsey sono quattro le dimensioni su cui le aziende dovranno misurarsi per competere:

  • i Big data sono in grado di aumentare la potenza di calcolo e connettività (Big Data/dati aperti, IoT/M2M e Cloud);
  • la digitalizzazione e la conoscenza del lavoro (Analytics e Intelligence, Advanced Analytics) crea nuove forme di organizzazione aziendale;
  • l’interazione uomo-macchina anche attraverso la realtà virtuale aumentata (Interfacce touch e next-level GUIs);
  • la conversione al mondo fisico della digitalizzazione (stampa 3D, robotica avanzata, collaborazione uomo-macchina, raccolta dell’energia).

Per investire sull’innovazione robotica anche in campo industriale, ci sono alcuni fondi azionari specializzati (Categoria Morningstar Azionari settore Tecnologia) che specificatamente dichiarano di puntare su questo segmento dell’innovazione.

I fondi azionari che investono sulla robotica

ProdottoRendimento YTDRendimento 3y
Candriam Equities L Robotics & Innovative Technology Classe C Eur Acc3,56%---
CS (Lux) Global Robotics Equity Classe BH Eur Acc2,05%---
Pictet - Robotics Classe HR Eur-7,02%10,30%
Nella tabella, i fondi azionari specializzati nell'investimento in robotica ordinati per rendimento da gennaio a novembre 2018. Dati % in euro. Fonte: Morningstar.

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Note

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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