Soltanto poche settimane fa, il Rapporto 2018 sui sistemi pensionistici della Commissione Ue sulle pensioni ha lanciato l’allarme: nonostante le modifiche della mini-riforma del 2016 basata sul principio di equità, resta aperto il rischio di “pensioni inadeguate per i lavoratori con carriere corte o interruzioni nei decenni futuri”. La soluzione? Secondo l’Ue “dovrebbero essere prese misure per rafforzare la capacità distributiva dei regimi pensionistici e meglio integrarli con regimi supplementari“. Eppure, secondo il Rapporto Ocse Pension at a glance 2017 l’Italia ha una spesa elevata per le pensioni, pari a circa il 16,3% del Prodotto interno lordo, che vale la seconda posizione dopo il 17,4% della Grecia, ed è pari a quasi il doppio della media Ocse (8,2%), con un tasso di contribuzione previdenziale, pari al 33%, che risulta è il più alto dell’intera Ocse (la media è del 18,4%).

Indice degli argomenti trattati:

Come funziona il sistema previdenziale italiano

La costruzione di una pensione integrativa, di un mattone in più da aggiungere al pilastro dell’assegno principale di pensione, è necessaria perché l’attuale sistema pensionistico italiano non fornisce una forte protezione contro la povertà. E questo è ancora più vero dopo la riforma Fornero: dal 2012 è diventato definitivo il passaggio al metodo di calcolo contributivo, già introdotto dalla riforma Dini delle pensioni del 1995. Quali sono le differenze tra metodo retributivo e contributivo:

  • Il metodo retributivo è fondato sulle retribuzioni degli ultimi anni lavorativi. Questo significa che per il calcolo dell’assegno pensionistico si guarda ai valori medi degli ultimi 5 anni di stipendio e, in media, la pensione è pari all’80% di quell’importo. In questo modo è più facile mantenere anche in pensione lo stile di vita a cui si è giunti a fine carriera, dopo anni di lavoro, esperienza, sacrifici.
  • Il metodo contributivo, invece, calcola l’assegno pensionistico in base ai contributi che si sono versati dal primo all’ultimo giorno di lavoro. Questo significa che la pensione va costruita pezzo per pezzo durante tutta la vita lavorativa e, in media, si calcola che gli assegni con questo metodo saranno nella migliore delle ipotesi pari al 55% delle ultime retribuzioni.

Secondo le simulazioni INPS, chi è nato dopo gli anni 80 avrà un assegno inferiore del 25% rispetto a quello di chi è nato nel 1945 e oggi ha 73 anni. Ma non solo: tre pensionati su quattro nati nel 1945 sono usciti dal lavoro prima dei 60 anni, mentre chi è nato nel 1980, per esempio, andrà in pensione prima dell’età di vecchiaia, che sarà pari a 70 anni nel 2050, in meno del 40% dei casi. L’ultima riforma delle pensioni ha alcuni punti chiave come l’innalzamento dell’età pensionistica e la possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro grazie all’APE volontaria percependo però un assegno più leggero. Le simulazioni INPS, dunque, definiscono l’esigenza di una pensione integrativa come un investimento ormai irrinunciabile per vivere bene a lungo.

Come calcolare quanto vale l’assegno della pensione

Per farsi un’idea di quanto denaro serve per colmare il gap dell’assegno pensionistico principale e calcolare a quanto ammonta la propria pensione futura è possibile accedere alla sezione area riservata dell’Inps, inserire i propri dati ed avere una stima. Questa operazione trasparenza da parte dell’ente previdenziale è arrivata proprio in seguito all’introduzione del metodo contributivo, perché i lavoratori si rendessero conto degli importi delle pensioni e potessero decidere di correre ai ripari, aderendo a formule di previdenza integrativa. Accanto alla sezione online del sito INPS è stata istituita anche la cosiddetta Busta arancione, che è una comunicazione periodica inviata dall’INPS a un campione selezionato di lavoratori e indica una stima aggiornata dell’assegno pensionistico atteso. Conoscere per tempo quanto si prenderà di pensione e se questa sarà sufficiente a garantire il proprio tenore di vita per sé e la propria famiglia è la prima mossa. Il fattore tempo è un elemento determinante: prima si aderisce a soluzioni di previdenza integrativa e meglio si può integrare l’assegno.

Cosa c’è nel sistema di previdenza integrativa italiano

Il sistema italiano della previdenza integrativa è ormai rodato. Sono passati più di 10 anni dall’entrata in vigore della legge 252/2005 e dall’inizio del semestre bianco di silenzio assenso che ha coinvolto 12 milioni di italiani nella scelta di come e se destinare il proprio Trattamento di fine rapporto (TFR) a un prodotto della previdenza alternativa come, per esempio, il fondo pensione. I principali strumenti della previdenza integrativa sono:

  • Fondi pensione chiusi o negoziali: sono nati grazie a contratti e accordi collettivi tra datori di lavoro e dipendenti, o per iniziativa di autonomi e liberi professionisti. L’adesione è riservata ai lavoratori che appartengono ad una determinata categoria.
  • Fondi pensione aperti: sono stati istituiti da soggetti abilitati alla gestione delle risorse finanziarie (banche, compagnie di assicurazione, Sim e Sgr), raccolte tramite adesione di lavoratori che non possono o non scelgono partecipare a un fondo chiuso di categoria.
  • Piani individuali pensionistici (PIP): sono assicurazioni sulla vita con finalità pensionistiche alle quali si può aderire solo in forma individuale. Possono essere collegati a una polizza Ramo I e quindi assimilabili a un’assicurazione sulla vita; oppure collegati a contratti assicurativi di ramo III (unit linked).

I vantaggi della previdenza integrativa in Italia

L’obiettivo del sistema di previdenza complementare non è sostituirsi a quello pubblico ma affiancarlo. I vantaggi della previdenza integrativa sono molteplici:

  • Il trattamento fiscale dei fondi pensione, per esempio, prevede per il sottoscrittore una deduzione dal reddito Irpef fino a un importo di 5.164,57 euro all’anno dei versamenti ai prodotti previdenziali. A questo di aggiunge che anche i versamenti che vengono eseguiti per familiari fiscalmente a carico possono essere portati in deduzione, sempre con lo stesso limite di importo.
  • Un altro vantaggio della previdenza integrativa è l’impignorabilità delle somme versate.
  • La possibilità di scelta è ampia: sono centinaia i prodotti del risparmio previdenziale tra cui scegliere quello più adatto al proprio profilo individuale pensionistico, sia che si tratti di un fondo pensione aperto che di un fondo pensione chiuso.
  • La flessibilità di questi prodotti è ampia: è possibile modificare la periodicità dei versamenti, gli importi da versare e anche di sospendere i versamenti in qualsiasi momento, senza penalizzazione.
  • Ci sono poi dei vantaggi successori: le somme versate vanno agli eredi, a meno che il sottoscrittore non abbia lasciato precise volontà contrarie a riguardo, e senza il pagamento della tassa di successione.

Il bilancio di questi dieci anni con i pro e i contro del sistema della previdenza integrativa è positivo in termini di rendimento. Se facciamo un confronto tra la performance di un fondo pensione rispetto al Trattamento di fine rapporto (TFR), nonostante una tassazione inferiore sulla rivalutazione favorevole al TFR, e pari al 17% contro il 20% dei fondi pensione, nel 2017 il TFR si è rivalutato dell’1,7% contro il 2,6% dei fondi chiusi e il 3,3% dei fondi aperti. Nel lungo periodo – dal 2007 al 2017 –  il TFR ha reso il 2,1% contro il 3,3% per i fondi chiusi e il 3% per i fondi aperti.

Flessibilità e previdenza integrativa: la semplificazione della RITA e il TFR2

Con la filosofia di spingere la previdenza integrativa in Italia, la legge di bilancio 2018 ha introdotto una serie di flessibilità aggiuntive tra cui:

  • Il riscatto parziale fino a dieci anni prima del pensionamento,
  • La semplificazione della Rendita integrativa temporanea anticipata (RITA),
  • La possibilità di destinare anche solo una porzione del Tfr al fondo pensione e, come sempre, le anticipazioni dal montante accumulato.

In particolare, la semplificazione della RITA prevede che, per accedere alla rendita anticipata, gli iscritti debbano avere almeno 20 anni di contributi, 63 di età ed essere distanti non più di 5 anni dalla pensione di vecchiaia.
Per quanto riguarda il TFR, chi sceglie la previdenza integrativa non è più costretto a rinunciare a tutto il Trattamento di fine rapporto lavoro: si può destinare al fondo pensione anche solo una percentuale del TFR. Lo stabilisce il decreto 22 marzo 2018, pubblicato sulla G.U. n. 91/2018, con cui è stato aggiornato il modulo “TFR 2” per la scelta della destinazione del Tfr dei nuovi assunti, altra novità introdotta dalla legge n. 124/2017. La quota del TFR da destinare alla pensione integrativa potrà andare da zero fino al 100%.

IDEE DI INVESTIMENTO

L’attenzione degli italiani verso la previdenza integrativa è cresciuta in maniera costante negli ultimi dieci anni. La quota di lavoratori iscritti ai fondi pensione nel 2017, secondo dati Covip, era di 8,3 milioni, circa un terzo della forza lavoro equivalente del Paese e con una crescita annua del 7,1%. La maggior parte sono lavoratori dipendenti (6,2 milioni, con una crescita del 7,4%), che usufruiscono anche di fondi chiusi e di accordi aziendali, seguono gli autonomi (2,1 milioni, in crescita del 2,3%). Nel 2017 i rendimenti netti dei fondi pensione aperti (+3,3% il rendimento 2017) e chiusi (+2,6% il rendimento 2017) hanno battuto il TFR (+1,7% la rivalutazione 2017) e anche i Piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (PIP) che hanno reso il 2,2% nel 2017. L’offerta già ampia di prodotti di previdenza integrativa è destinata ad allargarsi anche perché entro il 2060 i pensionati saranno più del doppio dei lavoratori, almeno in Europa. Per fronteggiare questa emergenza demografica c’è una proposta volta a creare un mercato unico europeo previdenziale, con trattamento fiscale omogeneo in tutta l’Ue attraverso prodotti denominati PEPP: si tratta della prossima frontiera del risparmio previdenziale che punta sulla semplificazione e sulla portabilità dei prodotti.

L’obiettivo pensionistico primario è mantenere il proprio tenore di vita. Quanto occorre accantonare nel corso della vita lavorativa? Secondo i calcoli di Ubs, almeno 4 euro su 10 guadagnati. In pratica, per uno stipendio di 1500 euro nette occorrerebbe accantonare 600 euro al mese. Online SIM, la piattaforma italiana del risparmio gestito, offre ai suoi clienti la possibilità di investire in fondi pensione in completa autonomia scegliendo a zero commissioni di ingresso e con commissioni di gestione molto competitive. Tra i prodotti ci sono:

  • Arca previdenza. Fondo pensione che investe sui mercati finanziari con differenti profili ed offre quattro linee di investimento, diversificate per grado di rischio, dal più alto al più basso, di cui uno garantito.
  • Seconda Pensione. Il fondo gestito da Amundi Sgr che consente di costruire nel tempo un trattamento pensionistico complementare al sistema obbligatorio investendo i contributi versati nelle differenti possibilità offerte dal fondo pensione. Il fondo è articolato in cinque comparti di investimento, differenziati per grado di rischio dal più dinamico al più prudente, e in un comparto garantito.

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Note

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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