Meno petrolio, più mercato finanziario. Una formula semplice e una strada quasi obbligata per l’Arabia Saudita, il regno che da sempre è alla testa dei Paesi produttori di petrolio Opec, che ha trovato la via alternativa al calo della ricchezza da oro nero. L’uomo che traghetterà il cambiamento è il principe trentenne Mohammed bin Salman, ministro della Difesa, secondo in successione al trono, direttore del Consiglio degli affari economici e di sviluppo, e Ceo di Saudi Aramco, l’azienda che gestisce il monopolio statale del petrolio e gli investimenti pubblici del Regno.
Del resto, le previsioni nel lungo periodo parlano chiaro: il prezzo del greggio è destinato a scendere a livelli da commodity dopo il 2030 (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim).
Nel frattempo servono strategie. La ragione? Le previsioni parlano di un crollo delle entrate da petrolio di circa 200 miliardi e il regno storicamente basa il 90% del bilancio dello Stato sull’oro nero, che vale quasi tutti i suoi proventi da esportazione, e più della metà del suo Prodotto interno lordo (Pil) che è pari a 665 miliardi di dollari. E anche se il debito del Paese vale solo il 5% del Pil, il crollo delle riserve di valuta estere a 650 miliardi di dollari pesa come un macigno sulle finanze pubbliche che, secondo i calcoli, andranno al collasso entro un paio di anni.
Mohammed bin Salman la strada l’ha trovata e punta dritta al mercato finanziario. Il 25 aprile 2016 il principe presenta il suo “Transformation Plan 2020” che è la sua visione di come il Paese deve diventare entro 20 anni, indipendente dal petrolio, e generare 100 miliardi di ricavi non oil l’anno entro il 2020. Il perno del progetto è la creazione del più grande fondo sovrano del mondo, che dovrà contenere a regime 2 mila miliardi di dollari di asset. Solo per dare l’idea della grandezza, il fondo potrebbe comprare Apple, Google, Microsoft, e Berkshire Hathaway.
Ma non c’è solo questo. La scommessa per il Paese adesso è espandere il mercato borsistico attraverso una progressiva apertura agli investimenti, soprattutto esteri. L’obiettivo è portare le compagnie quotate a 250, contro le 170 attuali, per una capitalizzazione di 380 miliardi di dollari. Il piano, da sviluppare in sette anni, dovrebbe consentire alla capitalizzazione della piazza finanziaria di avvicinare l’attuale controvalore del Pil. Nei progetti di Mohammed bin Salman c’è anche la quotazione (Ipo) di Saudi Aramco, sul mercato dovrebbe arrivare meno del 5%, e la vendita delle partecipazioni statali nelle società di telecomunicazioni, centrali elettriche e nella compagnia aerea.
Il cambiamento del Regno passa anche dal taglio della spesa pubblica, in particolare Mohammed bin Salman vuole contenere la spesa per il sussidio di disoccupazione. Per fare ciò vuole raddoppiare i posti di lavoro entro il 2030 – la disoccupazione giovanile nel Regno è al 30% – e raddoppiare l’istruzione privata e trasformare l’assistenza sanitaria pubblica in un sistema in parte privato coperto da assicurazioni.
Nel piano c’è anche una parte dedicata alla speculazione immobiliare che sarà fatta vendendo la terra. Il principe, per esempio, vuole cedere i 4 milioni di metri quadrati di sua proprietà intorno alla Mecca a società immobiliari per spingere lo sviluppo del turismo islamico. L’obiettivo? Aumentare i visitatori annuali dagli attuali 18 milioni fino a 45 milioni in cinque anni.
Nel traghettare il Regno verso un’economia non oil, Mohammed bin Salman come ministro della Difesa è impegnato in uno sforzo storico: sostenere i governi di Egitto e Giordania, per contenere le pressioni sciite nel regno del Bahrein, dando forza alla ribellione siriana.
Anche per questo la stampa internazionale ha già eletto il giovane principe come l’uomo del cambiamento e secondo il New York Times, un esempio per i giovani sauditi che scrivono oltre 50 milioni di tweet al giorno. Per l’Economist, il suo piano di riforme lo avvicina a Margaret Thatcher che ha traghettato la Gran Bretagna verso il cambiamento negli anni ’90.
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