La crescita demografica negli Stati Uniti nel 2024 ha raggiunto livelli quasi record, con l’immigrazione netta che ha rappresentato oltre l’80% dell’incremento della popolazione. Questo boom migratorio ha fornito un impulso significativo all’economia, sostenendo la crescita e attenuando le pressioni inflazionistiche. Tuttavia, con il ritorno a politiche restrittive annunciate da Donald Trump, il panorama economico potrebbe subire cambiamenti rilevanti.
Nel lungo periodo, restrizioni all’immigrazione potrebbero ridurre la capacità di crescita economica degli Stati Uniti dello 0,5% annuo. Riportando il tasso di crescita americano vicino al 2% rispetto all’attuale 2,5% secondo l’analisi di Standard & Poor’s. Inoltre, settori chiave come edilizia, ospitalità e agricoltura, dove la manodopera immigrata è essenziale, subirebbero un forte contraccolpo. Quanto l’immigrazione influisce su crescita economia e inflazione a livello globale?
L’impatto dell’immigrazione sulla crescita economica globale
L’immigrazione ha un impatto diretto sulla crescita economica sia attraverso l’aumento della forza lavoro sia tramite il sostegno alla domanda aggregata. Secondo il Census Bureau, la crescita della popolazione statunitense tra il 2023 e il 2024 ha raggiunto l’1,0%, con circa 4,1 milioni di immigrati netti. Questo dato è ben superiore alla media storica pre pandemica.
Secondo dati Morgan Stanley, l’immigrazione ha contribuito per circa 0,3 punti percentuali annui alla crescita del Prodotto interno loro (PIL) nei paesi avanzati. In particolare, negli Stati Uniti, l’afflusso di manodopera ha permesso un’espansione economica del 2,8% annuo nel periodo 2023-2024. L’Europa, invece, affronta una sfida più complessa: un calo del 6,4% della popolazione in età lavorativa entro il 2040 potrebbe ridurre il PIL dell’area dell’euro del 4%.
L’immigrazione non riguarda solo gli Stati Uniti e l’Europa, ma ha un impatto significativo su scala globale. Nei paesi in via di sviluppo, le rimesse degli immigrati rappresentano una fonte cruciale di reddito, contribuendo alla stabilità economica e alla riduzione della povertà. Nel 2020, secondo Morgan Stanley, le rimesse globali hanno contribuito con 4,35 trilioni di dollari al PIL mondiale.
In Asia e in Europa, la migrazione gioca un ruolo fondamentale per contrastare l’invecchiamento della popolazione. In Giappone e Corea del Sud, sono state introdotte politiche per attrarre lavoratori stranieri altamente qualificati, al fine di sostenere settori strategici come la tecnologia e la manifattura. Il Regno Unito, invece, sta affrontando una riduzione della crescita della forza lavoro, mentre l’Unione Europea potrebbe subire una contrazione del PIL senza un adeguato ricambio generazionale. Per questo motivo, le politiche migratorie restano un tema centrale nei dibattiti economici globali.
L’impatto dell’immigrazione sull’inflazione
L’immigrazione influisce sull’inflazione. Da un lato, l’aumento della forza lavoro riduce la pressione salariale e attenua i costi per le imprese, mantenendo l’inflazione sotto controllo. Dall’altro, un improvviso calo della migrazione potrebbe comportare un aumento dei salari nei settori con carenza di manodopera, spingendo al rialzo i prezzi.
Secondo l’analisi di Standard & Poor’s, l’immigrazione ha un effetto sia sulla domanda sia sull’offerta, per questo è un fattore cruciale nell’equilibrio inflazionistico globale. Nei paesi avanzati, l’arrivo di nuovi lavoratori contribuisce a ridurre le pressioni sui salari, evitando un’accelerazione dell’inflazione. Negli Stati Uniti, per esempio, l’elevato afflusso di migranti ha permesso di bilanciare la crescita economica senza generare un’inflazione eccessiva.
Tuttavia, nei Paesi in cui l’immigrazione si concentra più sulla domanda che sull’offerta, come Australia e Canada, si sono verificati aumenti dei prezzi nel settore immobiliare e nei beni di consumo a causa dell’aumento della popolazione. Questo fenomeno si osserva anche in alcune città europee, dove l’immigrazione ha spinto in alto i costi degli affitti e delle abitazioni, incidendo sulla dinamica inflazionistica locale.
L’analisi di Morgan Stanley suggerisce che, in un contesto di minore immigrazione globale, le economie avanzate potrebbero sperimentare una maggiore rigidità nel mercato del lavoro, aumentando le pressioni inflazionistiche nei settori che dipendono maggiormente dalla manodopera straniera.
L’impatto dell’immigrazione sugli investimenti
Le dinamiche migratorie influenzano anche gli investimenti, soprattutto in infrastrutture e immobili. Un aumento della popolazione stimola la domanda di abitazioni, trasporti e servizi pubblici, incentivando nuovi investimenti. In Canada e Australia, per esempio, un elevato afflusso di migranti ha portato a una forte espansione del mercato immobiliare e delle costruzioni.
Tuttavia, restrizioni all’immigrazione potrebbero rallentare questa crescita, riducendo le opportunità di investimento in settori legati all’urbanizzazione e allo sviluppo infrastrutturale. Inoltre, la carenza di manodopera specializzata potrebbe impattare negativamente le industrie high-tech e i servizi professionali, compromettendo la competitività delle economie avanzate.
IDEE DI INVESTIMENTO
L’immigrazione resta un elemento chiave per la crescita economica e la stabilità inflazionistica. Sebbene restrizioni più severe possano ridurre temporaneamente la pressione sul mercato del lavoro, gli effetti a lungo termine potrebbero includere una minore crescita economica e un aumento dell’inflazione nei settori più dipendenti dalla manodopera immigrata.
In questa fase di mercato è bene riconsiderare la propria asset allocation sempre in coerenza con gli obiettivi e la durata dell’investimento.
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Note
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