Super euro non fa paura, almeno alle piccole e medie imprese europee. L’euro si è apprezzato mediamente del 6% da gennaio ad agosto 2017 contro le valute principali e del 13% contro il dollaro, eppure l’export non ne sta risentendo e il dato di agosto dell’indice manufatturiero di IHS Markit che misura la temperatura alle piccole e medie imprese europee, indica che la domanda del “made in euro” è sempre crescente, sta alimentando l’economia e crea posti di lavoro. Secondo le statistiche di IHS Markit l’economia dell’area euro può contare ormai su 19 Paesi che nel secondo trimestre 2017 hanno raggiunto un’area di sviluppo sicura e i produttori hanno registrato una performance impressionante ad agosto, con gli ordini export sui massimi da sei anni a questa parte. L’unica nota dolente, secondo l’analisi di IHS Markit arriva dalla domanda di servizi che è cresciuta al tasso più lento da gennaio 2017.
La fiducia delle imprese medie e piccole nell’area euro, dunque, è in ripresa e dovrebbe favorire il mercato del lavoro e la ripresa di prezzi e inflazione, ma per Mario Draghi è ancora troppo presto per dichiarare vinta la battaglia della ripresa dell’Europa. Per questo il governatore della Banca centrale europea (BCE) è cauto sulla fine del Quantitative easing (QE). Lo dimostra l’ultimo bollettino della BCE dove si legge che nonostante la ripresa continui ad essere «robusta e generalizzata nell’area dell’euro» c’è un tassello che manca ed è «una dinamica dei prezzi più vigorosa» con un’inflazione che cresce gradualmente, ma non abbastanza per centrare l’obiettivo del 2%. Cosa vuol dire? Il Quantitative easing dovrebbe continuare fino a quando l’evoluzione dei prezzi non sarà coerente con l’obiettivo di inflazione e siamo ancora lontani visto che Eurostat ha appena confermato che a luglio come a giugno si è fermi all’1,3%.
Super euro: le sfide della BCE per sostenere l’economia europea
Su questo punto, ormai da mesi, i tedeschi combattono una battaglia contro Draghi e invocano la fine del QE entro il dicembre 2017 anche se, dopo il dato di agosto relativo al crollo dell’indice Zew che misura la fiducia delle grandi imprese tedesche, la posizione della Germania potrebbe ammorbidirsi. La discussione sul futuro percorso dello stimolo monetario è appena cominciata quando saranno pubblicate nuove proiezioni economiche. Gli acquisti di asset sono attualmente in programma per scadere nel mese di dicembre.
Dei timori per il super euro, che rischia di frenare la crescita dell’economia, e dell’incertezza legata all’amministrazione del presidente americano Donald Trump, si è parlato durante il summit di Jackson Hole, ma non sono arrivate risposte e indicazioni sulle prossime mosse. Ecco quali sono le sfide che FED e BCE sono chiamate ad accettare nel mese di settembre sia sul fronte dei tassi sia su quello delle misure per sostenere ripresa e occupazione:
- Sul fronte europeo, lo scenario con cui si trova a dover fare i conti Mario Draghi è caratterizzato dal rischio di un eccessivo rialzo dell’euro e dal possibile aumento dell’inflazione. C’è poi il nodo della exit strategy dal Quantitative Easing, il piano di acquisto titoli da parte della banca centrale europea. In tutto questo si inserisce anche la variabile politica legata alle prossime elezioni federali in Germania, la locomotiva della crescita europea, in programma il 24 settembre. La prima riunione del board BCE è attesa il 7 settembre.
- Dall’altra parte dell’oceano, Janet Yellen è alle prese con il possibile aumento dei prezzi e l’incertezza legata alla politica di Trump, con licenziamenti quasi quotidiani nello staff, e le conseguenti polemiche che creano instabilità. Sullo sfondo c’è anche la successione alla poltrona di governatore della FED che gli osservatori danno per scontata con l’uscita di Yellen e l’arrivo di un nome gradito a Trump: il candidato più accreditato al momento è Gary Cohn, consulente della Casa Bianca. La prima riunione della FED è prevista il 23 settembre.
IDEE DI INVESTIMENTO
Le Borse hanno passato l’estate a districarsi dal dramma politico di Washington, con un occhio attento alla corsa dell’euro e un unico vero shock il 28 agosto 2017 dovuto al lancio di un missile coreano nel Mare del Giappone che ha riaperto le preoccupazioni mondiali sulla politica di Kim Jong-un.
I venti di guerra hanno dato una spinta ulteriore all’euro e gli analisti della giapponese Nomura, tra i più indipendenti e attenti sul comparto valutario, prevedono che nei prossimi anni la valuta europea possa rafforzarsi in modo costante e progressivo, con la moneta unica che potrebbe valere 1,20 alla fine del 2018 e arrivare a 1,30 nel 2019, non lontano quindi dai massimi storici di 1,39 dell’estate di tre anni fa. La forza dell’euro non mina il fatturato delle imprese. «I risultati del secondo trimestre sono stati abbastanza confortanti anche se gli investitori sono rimasti probabilmente delusi in quanto avevano ancora in mente i risultati del primo trimestre, i migliori in assoluto dalla fine della crisi dei sub prime», ha detto Alfonso Maglio, responsabile ufficio studi di Marzotto sim. «Questo confronto ha suggerito quindi dei profit taking provocando un momento di pausa del mercato. Le nuove stime degli analisti sugli utili dell’MSCI Europe sono di +12% per fine 2017 e +9% per fine 2018».
Per puntare sul made in euro la scelta migliore è un fondo azionario europa che investe sul segmento delle small cap dove le piccole e medie imprese sono protagoniste:
Migliori fondi Azionari Europa small cap a un anno
Prodotto | Rendimento 1y | Rendimento YTD |
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Hermes Linder Fund A | 45,34% | 23,85% |
Argos Funds Argonaut A EUR | 39,96% | 14,85% |
Argos Funds Smaller European Coms A EUR | 39,51% | 19,78% |
Echiquier Entrepreneurs | 38,84% | 19,04% |
Henderson Horizon PanEurp SmrComs A2€Acc | 36,99% | 17,85% |
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Note
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