Chiunque sia il prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America c’è già un vincitore sicuro che verrà decretato dalle urne l’8 novembre 2016. Si tratta delle energie rinnovabili che fino a ieri erano un argomento solo da attivisti Democratici – è noto l’impegno di Barack Obama (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim) confermato anche dalla candidata Hillary Clinton – ma improvvisamente è entrato nell’agenda anche dei Repubblicani. La ragione? Sono a buon mercato. Le rinnovabili negli ultimi dieci anni hanno avuto un calo esponenziale dei costi: del 75% il fotovoltaico, del 35% l’eolico, secondo dati Bloomberg. Nello stesso periodo l’atomo, ovvero il nucleare, ha avuto una crescita esponenziale dei costi, al punto che anche i progetti delle singole centrali sono fuori controllo.
Il calo dei prezzi dell’energia rinnovabile ha convinto una parte dei Repubblicani a rivedere le politiche di ostilità che erano state adottate finora. Si tratta di un fatto puramente economico, perché ideologicamente i principali candidati repubblicani Donald Trump, il favorito anche se osteggiato dal suo stesso partito, e il senatore Ted Cruz, rifiutano qualsiasi ruolo dell’uomo nel riscaldamento globale del Pianeta, come la maggior parte dirigenti del partito, e hanno una naturale simpatia per il petrolio.
A crescere è il consenso della base con un numero sempre maggiore di repubblicani, una volta scettici, che sta abbracciando con convinzione l’energia eolica e solare. La ragione? Vedono nelle fonti di energia pulita la possibilità di offrire elettricità a basso costo, che diventa vitale per alimentare lo sviluppo delle zone rurali povere, rafforzando dell’indipendenza energetica degli Stati Uniti. E fra chi vota repubblicano è ormai diffusa l’idea che sia arrivato il momento di ridurre le emissioni di gas serra, come ha mostrato un sondaggio del New York Times, secondo cui il 51% degli elettori repubblicani sostiene che il Governo Federale dovrebbe attivarsi per affrontare i cambiamenti climatici.
Elettricità a basso costo significa anche posti di lavoro. Con questa realtà hanno già fatto i conti alcuni Stati repubblicani altamente conservatori come il North Carolina, l’Iowa, la Georgia e il Texas che hanno puntato molto sull’energia pulita nonostante qui le trivelle petrolifere siano un pezzo del panorama. La prova? Quando era governatore del Texas George W. Bush, per fare esempio, ha spinto la legge che invita le utility ad acquistare energia rinnovabile, portando allo sviluppo diffuso di parchi eolici.
Certo la svolta Repubblicana è solo all’inizio. Donald Trump ha deriso i parchi eolici ma in molto sono convinti che potrebbe cambiare idea quando vedrà che le aziende del vento e del solare hanno dato lavoro a circa 300.000 persone negli Stati Uniti nel 2015, circa quattro volte più che l’industria del carbone, secondo dati Bloomberg.
Chi salirà alla presidenza americana dovrà fare i conti con il Clean Power Plan, ultimo atto dell’amministrazione Obama, che pone dei limiti alle emissioni di gas serra del parco elettrico del Paese (-32% al 2030 rispetto ai valori del 2005). Per ora il piano è stato bloccato dalla Corte Costituzionale, ma c’è chi ha già fatto i conti: potrebbe costare 250 mila posti di lavoro in 40 Stati.
IDEE DI INVESTIMENTO
La sostenibilità economica della svolta rinnovabile degli Stati Uniti è stata analizzata dall’Università di Stanford in uno studio che prende in considerazione la situazione energetica dei 50 Stati. Lo studio fornisce poi un piano pratico basato sull’uso di tecnologie esistenti con l’obiettivo di rendere il Paese totalmente rinnovabile entro il 2050. Come? Attraverso l’eliminazione delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dai combustibili fossili con un risparmio di 3.300 miliardi di dollari l’anno.
La svolta energetica, secondo i ricercatori, salverebbe 63 mila vite all’anno, creerebbe migliaia di nuovi posti di lavoro in ogni Stato. La road map tracciata dall’Università di Stanford per gli Stati Uniti segue la linea dell’accordo sul Clima firmato a New York il 22 aprile 2016 da 170 nazioni. La firma è il primo passo per mantenere gli impegni a livello nazionale presentati da gran parte dei Paesi partecipanti alla COP 21 di Paririgi a dicembre 2015.
L’obiettivo principale è quello di contenere gli effetti del surriscaldamento globale e limitare i pericoli derivanti dai cambiamenti climatici indotti dall’uomo, fermando l’innalzamento delle temperature al di sotto di 2 gradi centigradi. Le nazioni sviluppate hanno deciso di stanziare 100 miliardi all’anno, a partire dal 2020, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a contenere le emissioni di gas serra. Ci saranno verifiche ogni cinque anni a partire dal 2023.
Per scommettere sulla svolta verde del Pianeta una buona opportunità è data da fondi specializzati che investono sull’ecologia e l’ambiente (Categoria Morningstar: Azionari ecologia).
Ecco i migliori tre da inizio anno e cosa hanno in portafoglio:
- Parvest Global Environment Classe N Hubert Aarts, gestore del fondo che a un anno rende lo 0,89% da gennaio 2016 (+10,71%) 0,investe allmeno due terzi del patrimonio in titoli azionari o equivalenti di società di qualsiasi paese che svolgono una parte significativa delle proprie attività sui mercati ambientali (per esempio energie alternative, risparmio energetico) e che rispettano i principi di responsabilità sociale, ambientale e corporate governance dettati dal Global Compact delle Nazioni Unite. L’America pesa per il 57% sul totale del portafoglio, mentre lìEuropa vale il 15%. I settori preferiti sono: Beni industriali (41,4%), Servizi di pubblica utilità (14,19%), Beni di consumo (14,1%).
- Mirova Global Climate Change classe R Euro Acc ha proprio l’obiettivo di investire in società che contribuiscono a ridurre le emissioni dei gas serra e si adattano alle conseguenze delle variazioni climatiche. Il fondo è un azionario internazionale denominato in euro, ma ne esiste anche una versione in dollari, da gennaio 2016 perde lo 0,25% (+6,45% a tre anni). Beni industriali (32%), Servizi di pubblica utilità (23,1%) e Bendi consumo (21,2%) sono i principali settori nel portafoglio di Clotilde Basselier, che gestisce il fondo. America (42%) ed Europa area euro (24%) sono i due mercati di riferimento.
- Nordea 1 – Climate And Environment Equity Classe E Eur (acc) Thomas Sørensen, gestore del fondo, non investe solo in azioni ma anche in altri titoli correlati ad azioni, emessi da società che si prevede beneficeranno, direttamente o indirettamente, dell’evoluzione delle problematiche ambientali, tra cui i cambiamenti climatici. Per questa ragione è classificato come azionario altre specializzazioni. Il fondo è in euro e ad un anno perde l’1,23% da gennaio 2016 (+11,92% a tre anni). America (57%) ed Europa area euro (21%) sono i mercati di riferimento, mentre Beni industriali (32%), Tecnologia (27%) e Materie Prime (17%) sono i settori più presenti.
Note
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.
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