Warren Buffett ha abbandonato la leggendaria diffidenza verso la tecnologia e ha puntato dritto verso il business che è oro nel lungo termine: il cloud computing e la gestione di dati aziendali. Buffett ha fatto un investimento di oltre 700 milioni dollari in Snowflake, produttore di programmi di database, che si è quotato a New York a metà settembre 2020. Appena un paio di giorni dopo il debutto l’investimento di Buffett valeva già 1,5 miliardi di dollari. Snowflake opera nel mercato dei software per la gestione dei dati aziendali che, secondo dati Bloomberg, genera già oggi circa 55 miliardi di vendite all’anno. Ma i dati sono il nuovo oro per la maggior parte delle aziende e l’arena dei concorrenti sta diventando molto ampia.
Secondo il consensus del mercato, Snowflake potrebbe essere la nuova Oracle e in termini di rendimento è una buona scommessa per un investitore di lungo termine come Buffett, ma dovrà vedersela con i grandi fornitori di cloud che, secondo un’analisi di Gartner, stanno innovando velocemente i prodotti con alternative open source più economiche e flessibili di un software. Tra i concorrenti più accreditati sul mercato ci sono ClickHouse e Altinity che puntano tutto sull’open source; Confluent che immagazzina i dati in streaming; Mongodb che punta su archivi digitali verticali e specializzati per singoli documenti.
Il cloud computing e la protezione dei dati aziendali sono il business tecnologico che ha le carte in regola per prosperare nel lungo termine. Ed è solo una fetta di un comparto che comprende anche i dati pubblici: il mercato mondiale dei servizi di cloud pubblici, inclusi Infrastructure as a Service (IaaS), Platform as a Service (PaaS) e Software as a Service (SaaS), è cresciuto del 26% anno su anno nel 2019, con ricavi per un totale di 233,4 miliardi di dollari, secondo i dati rilasciati ad agosto 2020 dall’International Data Corporation (IDC). La spesa ha continuato a consolidarsi nel 2019 con i ricavi combinati dei primi 5 fornitori di servizi di cloud pubblico (Amazon Web Services, Microsoft, Salesforce.com, Google e Oracle), che controllano un terzo del totale mondiale e sono in crescita del 35% anno su anno.
Secondo l’analisi di IDC, il cloud si sta espandendo ben oltre l’e-commerce di nicchia e le ricerche sponsorizzate da annunci online, ed è alla base di tutte le attività digitali da cui dipendono individui e imprese. Tanto che si sta facendo avanti il fronte di chi sostiene che il cloud e i centri di elaborazione dati stiano già diventando un problema per il clima, a causa dell’enorme quantitativo di energia che consumano. Secondo alcuni studi, i data center supereranno presto il settore aereo in termini di emissioni di anidride carbonica ed entro il 2030 rappresenteranno l’8% della domanda di elettricità globale, in un contesto nel quale il mondo sta cercando di ridurre il consumo energetico e le emissioni di gas serra correlate. Ma davvero l’investimento nei data center potrebbe essere percepito come un attentato al cambiamento climatico? Secondo l’analisi di Aberdeen Standard Investments ci sono alcune evidenze positive:
- Un paper pubblicato a febbraio 2020 su Science ha rilevato che la proporzione di energia elettrica consumata dai centri dati oggi è la stessa del 2010. Dunque il consumo di dati potrebbe continuare a crescere, senza per questo implicare un aumento delle emissioni e del consumo di energia.
- Un maggiore consumo di dati non corrisponde ad un maggiore consumo di energia. La Legge di Koomey, che prende il nome dal professore di Stanford che ha pubblicato un lavoro sul tema, afferma che l’intensità energetica di un gigabyte di dati forniti tramite centri dati si dimezza ogni due anni. Lo conferma l’esperienza di Google, i cui centri dati offrono oggi sette volte la potenza di elaborazione utilizzando la stessa energia elettrica che impiegavano cinque anni fa.
- Una maggiore efficienza di elaborazione, sistemi di raffreddamento migliori e l’intelligenza artificiale per indirizzare l’energia sono solo alcuni dei numerosi modi con cui si può raggiungere questo risultato. L’esempio è Digital Realty, il maggiore proprietario di data center al mondo che è passato dal raffreddamento dell’acqua alle pompe refrigeranti e ha ridotto del 13% l’impiego di energia.
Secondo l’analisi di Aberdeen Standard Investments, in ogni caso, anche se il settore riuscirà ad evitare un aumento nel consumo di elettricità, i data center continueranno a utilizzare molta energia e dovranno assicurare che ciò non si traduca in un eccesso di emissioni di gas serra.
IDEE DI INVESTIMENTO
Un maggiore uso del cloud computing, un aumento della qualità e della quantità dello streaming video, il 5G e il nascente 6G, l’adozione di smartphone su scala globale, Internet delle Cose, veicoli autonomi e l’intelligenza artificiale sono tutti driver di lungo periodo che sostengono il trend del cloud computing e dei data center. Secondo l’analisi di Pictet asset management, i software interattivi per le società saranno sempre più utilizzati perché economicamente più vantaggiosi rispetto ai modelli informatici tradizionali, inoltre l’infrastruttura blockchain offre un effettivo vantaggio competitivo per incrementare in maniera consistente il ricorso ai servizi digitali.
Per investire su cloud computing e transizione digitale la scelta più diretta è un fondo azionario specializzato che in investe in maniera globale sulla tecnologia (Categoria Morningstar Azionari Settore Tecnologia)
La Top 5 dei fondi che investono in tecnologia
Prodotto | Rendimento 1y | Rendimento YTD |
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BGF World Technology Fund Classe E2 | 55,42% | 42,33% |
Bgf World Technology Fund Classe E2 Usd | 54,24% | 41,26% |
JPM US Technology A (dist) USD | 49,50% | 40,04% |
Jpm Europe Technology D (acc) - Eur | 47,50% | 36,84% |
Franklin Technology Fund A (acc) USD | 45,52% | 34,35% |
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Note
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