Donald Trump ha annunciato dazi reciproci globali al 10% contro tutti i Paesi del mondo in vigore dal 5 aprile 2025 e per alcuni Paesi definiti “peggiori” aveva alzato l’asticella delle tariffe anche oltre il 10%. Tra i Paesi “peggiori e più penalizzati ci sono il Vietnam con il 46% che che scendono al 32% per Taiwan, il Paese principale produttore di chip e al 20% per l’Unione Europea. Queste tariffe più alte rispetto alla base del 10% dovevano entrare in vigore il 9 aprile 2025 ma Trump ha fatto marcia indietro il 10 aprile 2025 sospendendo i dazi più elevati per 90 giorni. L’obiettivo del presidente americano è aprire una trattativa con i diversi Stati per ottenere condizioni migliori per le merci americane. Punita invece per aver reagito la Cina, contro cui scattano dazi sino al 125% dopo che il Dragone aveva annunciato, a sua volta, tariffe dell’84% sul made in Usa.

Fa storia a sé il comparto automotive per il quale Trump ha previsto dazi al 25% in vigore dal 3 aprile 2025 sulle automobili prodotte fuori dagli Stati Uniti. L’obiettivo del presidente americano è riequilibrare il deficit commerciale degli Stati Uniti che oggi è di oltre 130 miliardi di dollari a sfavore delle esportazioni americane rispetto alle importazioni dal resto del mondo.

Le industrie più colpite

La misura protezionistica americana coinvolge tutti i settori con alcune industrie più colpite: componenti elettronici, acciaio, veicoli, beni di largo consumo e prodotti agricoli. E ha riacceso le tensioni commerciali a livello globale, spingendo la Cina a reagire con contro dazi e lasciando l’Europa in una posizione delicata. I mercati finanziari hanno immediatamente iniziato a riflettere il clima di incertezza, mettendo sotto pressione settori chiave e spingendo molti investitori a ripensare la propria asset allocation.

Automotive: da fiore all’occhiello a settore in crisi

Tra i settori più penalizzati figura senza dubbio l’automotive, storicamente simbolo dell’eccellenza manifatturiera europea. Le nuove tariffe statunitensi sui veicoli d’importazione e sui componenti hanno avuto un impatto diretto sui grandi gruppi del continente. A inizio 2025, le azioni dei principali player europei hanno iniziato a scendere in modo sensibile: Volkswagen ha lasciato sul terreno oltre il 12% nel giro di poche settimane, BMW è scesa di circa il 10%, mentre Stellantis ha perso più del 10%, penalizzata anche dalla sua forte esposizione al mercato nordamericano.

Anche il comparto dell’auto elettrica ha mostrato segnali di debolezza, segno che nemmeno la mobilità sostenibile è immune da barriere commerciali e tensioni geopolitiche. In Italia, le ricadute si sentono a monte della filiera. Molte piccole e medie imprese della componentistica – soprattutto nel Nord – hanno registrato un calo degli ordini stimato tra il 15 e il 20% su base annua, con ricadute dirette anche sull’occupazione.

Tech in caduta libera: quando anche i giganti tremano

Il nuovo clima protezionistico ha travolto anche uno dei settori più amati dagli investitori: la tecnologia. La settimana successiva all’annuncio dei dazi è stata particolarmente pesante per il comparto, con ben 74 aziende dell’S&P500 che hanno perso oltre il 10% del loro valore in una sola seduta. Anche le Big Tech, tradizionalmente viste come rifugi sicuri, non sono state risparmiate.

Apple, simbolo globale dell’innovazione, è stata colpita in modo pesante: ha perso quasi il 10% in un giorno. La ragione? Negli ultimi anni ha delocalizzato proprio verso i Paesi più colpiti dai dazi, spostando tra il 15% e il 20% della produzione di iPhone, e diversificando la fabbricazione di AirPods, Apple Watch e iPad. Altre aziende chiave del settore chip, come Nvidia, AMD, Qualcomm e Broadcom, sono scivolate tra il 5% e il 15%, mentre anche colossi come Meta e Amazon hanno accusato il colpo, penalizzati dalle incertezze legate ai costi delle filiere globali e alla contrazione della domanda nei mercati emergenti.

Da segnalare che volatilità settimanale dell’indice Nasdaq ha superato il 22%, livelli paragonabili alle fasi più acute della pandemia. Per molti investitori, il tech è diventato una scommessa ad alta rotazione, più che un porto sicuro.

Agricoltura: tra ritorsioni e volatilità globale

Il comparto agricolo è un altro grande sconfitto di questo nuovo protezionismo. La Cina ha risposto ai dazi americani introducendo proprie barriere su una lunga lista di prodotti agroalimentari, colpendo in particolare il grano, la soia e il mais. Questa guerra commerciale ha generato forti turbolenze sui mercati delle materie prime, con oscillazioni anche superiori al 10% su base settimanale per alcune commodity.

Nei primi tre mesi del 2025, l’indice S&P GSCI Agriculture ha registrato una perdita intorno al 4,5%, mentre la sua volatilità annua ha superato il 23% – livelli che non si vedevano dal periodo pandemico. L’Europa, pur non essendo il bersaglio diretto delle contromisure cinesi, rischia di diventare una vittima collaterale. Prodotti simbolo del made in Italy (vino, olio e formaggi) diventano meno competitivi se gli Stati Uniti iniziano a sovvenzionare in modo aggressivo i propri produttori interni per reggere l’urto dei dazi.

Dazi e investimenti: quali conseguenze per i mercati

I dazi rappresentano un punto di svolta per i mercati globali. Le conseguenze si fanno sentire su tutti i fronti. Per gli investitori non è più tempo di strategie statiche: oggi serve capacità di lettura dello scenario, prontezza d’adattamento e, soprattutto, un portafoglio costruito con intelligenza.

Azioni

Le tensioni commerciali hanno provocato forti oscillazioni sui mercati azionari, con vendite concentrate soprattutto nei comparti industriali e ciclici. In Europa, il comparto auto è sceso in media di oltre il 14% nel primo trimestre, mentre l’indice europeo dei beni industriali ha registrato un calo vicino all’8%. La volatilità percepita dagli investitori è tornata a salire in modo evidente: l’indice VIX che misura la volatilità sui mercati è passato da 18 punti di fine 2024 a 49 punti il 7 aprile 2025, segnalando un ritorno a livelli di tensione tipici delle fasi di crisi.

Obbligazioni

Nel reddito fisso, la prima reazione degli investitori è stata di rifugiarsi nei classici “paradisi sicuri”. I Treasury americani a 10 anni hanno visto un temporaneo abbassamento dei rendimenti fino al 3,85%, in calo rispetto al 4,2% di fine anno. In parallelo, i titoli di Stato tedeschi (Bund) hanno mostrato un apprezzamento, con un rendimento sceso verso il 2,2%. Ma l’effetto non è stato uniforme: i timori per una nuova spirale inflattiva causata da dazi e rialzi dei prezzi al consumo hanno riportato in alto i rendimenti americani già a marzo, spingendoli oltre il 4,5%. Nei corporate bond, i titoli ad alto rendimento nel settore industriale hanno visto un allargamento degli spread di circa 150 punti base, segnale di maggiore avversione al rischio.

Valute

Anche sul mercato valutario, i dazi hanno innescato movimenti significativi. Lo yuan cinese si è deprezzato di oltre il 6% rispetto al dollaro, mentre l’euro ha perso circa il 3%, penalizzato dalle minori prospettive di crescita legate alla frenata dell’export europeo. Al contrario, lo yen giapponese e il franco svizzero, ovvero le valute tradizionalmente rifugio, si sono rafforzate rispettivamente del 5% e del 4%, confermando la ricerca di sicurezza da parte degli investitori globali.

Oro e materie prime

L’oro si conferma l’asset rifugio per eccellenza. A marzo 2025 ha superato i 2.700 dollari l’oncia, toccando un nuovo massimo storico, con una crescita di oltre il 10% da inizio anno. Molto diverso il discorso per le materie prime industriali: il rame è sceso di oltre il 7%, mentre l’alluminio ha perso quasi il 6%, penalizzati dalla frenata della domanda globale. Il petrolio, invece, si è mantenuto relativamente stabile con Goldman Sachs che rivisto al ribasso le previsioni 2025 sul prezzo del Brent e del Wti portandole rispettivamente a 62 e 58 dollari al barile.

Le strategie di investimento da adottare

In uno scenario come quello del 2025, dove incertezze commerciali e tensioni geopolitiche si sommano a inflazione e crescita debole, è fondamentale adottare un approccio strategico e consapevole.

  1. Diversificazione e flessibilità

L’utilizzo di fondi multi-asset e strategie flessibili si è dimostrato particolarmente efficace: i portafogli bilanciati con esposizione azionaria contenuta (tra il 30% e il 50%) hanno limitato le perdite nei primi mesi dell’anno, mantenendo volatilità sotto controllo.

  1. Focus su settori difensivi

I comparti legati a sanità, acqua ed energia rinnovabile si confermano più resilienti. ETF come quelli sul Global Water o sul settore Healthcare hanno chiuso il trimestre in territorio positivo, con guadagni tra il 2 e il 4%.

  1. Protezione tramite asset decorrelati

Una quota compresa tra il 5% e il 10% in oro, insieme a fondi absolute return o long/short, può contribuire a stabilizzare i rendimenti. Le migliori strategie alternative hanno limitato la volatilità annua sotto il 6%, un risultato notevole considerando le turbolenze dei mercati.

  1. Attenzione alla geopolitica

Mai come oggi, la componente geopolitica è parte integrante della gestione patrimoniale. Tenere d’occhio le dinamiche tra Stati Uniti, Cina ed Europa non è più un lusso da analista macro, ma una necessità anche per il piccolo investitore.

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Note

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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