Ogni crisi crea un’opportunità e la pandemia da Covid-19 può diventare l’occasione per un ripensamento dell’economia così come oggi la conoscevamo. Ad aprire il dibattito è stata una lunga analisi del settimanale Economist che ha messo in fila i principali cambiamenti che il virus ha introdotto: un mercato del lavoro più ristretto potrebbe dare ai lavoratori più potere contrattuale senza per forza creare una ridistribuzione; una rivalutazione equilibrata del debito pubblico – in aumento in tutti i Paesi – potrebbe far aumentare gli investimenti in economia sostenibile necessari per combattere il cambiamento climatico; i governi potrebbero dare il via ad una nuova era della finanza, che punti decisamente sull’innovazione, su intermediazioni finanziarie più economiche e, forse, su una politica monetaria che non sia vincolata dalla presenza di denaro fisico. Se si guardano tutti insieme, questi cambiamenti portano a uno scenario che mette seriamente in discussione il vecchio paradigma economico, ma quale sarà il nuovo status quo non è ancora chiaro.
L’idea portata avanti dall’Economist che ha coinvolto nel dibattito i principali economisti mondiali è che la formula ibrida che mette insieme i principi degli economisti John Maynard Keynes e Milton Friedman e che ha dominato il ventennio tra gli anni 90 e la crisi del 2007-2009 abbia fatto il suo tempo. L’obiettivo centrale di questo modello è tenere un’inflazione bassa e stabile per mettere l’occupazione al primo posto, usando la politica monetaria – innalzamento e abbassamento dei tassi di interesse a breve termine – come leva per spingere consumi e investimenti. L’indipendenza delle banche centrali dai governi ha assicurato che il modello funzionasse, mentre la politica fiscale come mezzo per gestire il ciclo economico è stata messa da parte ed è stata usata principalmente per mantenere bassi i debiti pubblici e ridistribuire il reddito nella misura e nel modo che i politici hanno ritenuto opportuno.
Ora sembra che questo paradigma economico dominante già entrato in crisi dopo il 2009 sia arrivato al limite. Anni di politiche monetarie straordinarie e di tassi zero non hanno riacceso il Pil globale, non hanno fatto ripartire in maniera decisa il mercato del lavoro anche se l’inflazione è rimasta contenuta.
Poi è arrivato il coronavirus che ha bloccato produzione e catene di approvvigionamento e avrebbe dovuto causare un aumento dei prezzi ma, invece, ha avuto un impatto maggiore sulla domanda di beni che è crollata con un ulteriore calo delle aspettative di inflazione e tassi di interesse futuri. Il desiderio di investire è calato, mentre sono aumentati i risparmi accumulati sui conti correnti. La pandemia ha anche messo in luce e accentuato le disuguaglianze nel sistema economico e il fenomeno della polarizzazione sociale, si è accentuato, con ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.
Questo è il punto chiave del nuovo sistema economico che può nascere dal virus: ideare nuovi modi per tornare alla piena occupazione. Come fare? Al momento sono tre le scuole di pensiero che dividono gli economisti:
- Le banche centrali restano la leva principale del sistema economico e fino a quando saranno in grado di stampare denaro per acquistare debito pubblico, saranno in grado di stimolare la crescita economica e l’inflazione. Alcuni economisti sostengono che le banche centrali debbano farlo nella misura necessaria per ripristinare la crescita e raggiungere i propri obiettivi di inflazione. Se falliscono non è perché hanno esaurito le munizioni, ma perché non si stanno impegnando abbastanza.
- La politica fiscale diventa la leva della ripresa. Secondo questa scuola di pensiero, gli acquisti delle banche centrali non possono essere infiniti e spesso non sono neppure giustificati: per esempio l’acquisto di debito aziendale mantiene in vita società che dovrebbero fallire. È meglio per il governo aumentare la spesa o tagliare le tasse, con i deficit di bilancio che assorbono l’eccesso di risparmi creati dal settore privato. Questa visione non elimina il ruolo delle banche centrali, ma le ridimensiona. Questa visione ha molti punti di contatto con la Moderna teoria monetaria (MMT) che ha molti sostenitori in finanza.
- I tassi di interesse devono essere negativi, ovvero al di sotto dei tassi di crescita economica. I sostenitori di questo approccio economico vedono lo stimolo fiscale, finanziato dal debito o dalle manovre delle banche centrali, con un certo sospetto, poiché entrambi lasciano debiti per il futuro. Secondo questa scuola di pensiero, il modo migliore per stimolare le economie su base continuativa non è quindi creare debiti infiniti da pagare quando i tassi saliranno di nuovo, ma è fare in modo che i tassi di interesse siano negativi per stimolare consumi e indebitamento.
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Qualunque sia la ridefinizione dei criteri macroeconomici su un punto gli economisti sono tutti d’accordo: la nuova economia sarà sostenibile e la spinta dei criteri ESG sarà visibile a livello produttivo e di investimento. Ogni fattore ha una sua caratteristica peculiare: la E di environmental guarda principalmente al rischio ambientale, la S di sociale guarda alla ridefinizione della società e la G di governance al mondo produttivo e all’etica aziendale. Tutte e tre queste componenti definiscono l’investimento sostenibile.
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Note
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