Sulla prima pagina del quotidiano catalano El Punt Avui c’è una fotografia a tutta pagina della polizia che impedisce ai cittadini di Barcellona di entrare ai seggi e votare per il referendum indipendentista del primo ottobre 2017. Accanto alle foto degli scontri campeggia il risultato della consultazione: il 90% dei catalani vuole la secessione da Madrid, al voto sono andate oltre 2 milioni di persone. In questi numeri, che il governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy non riconosce validi perché anti costituzionali, sta Calexit – acronimo per Catalogna ed exit – e lo scontro che da mesi infiamma la Spagna e che nasce dalla bocciatura della riforma dello Statuto di Autonomia – ottenuto da Barcellona nel 1978 – da parte della Corte Costituzionale e dal forte squilibrio fiscale rivendicato dai catalani.
Il sentimento indipendentista catalano, del resto, viene da lontano e ha le sue radici nella Guerra di Successione Spagnola, XVIII secolo, quando Barcellona, schieratasi con gli Asburgo, fu assediata e conquistata dai Borboni e le istituzioni del Principato di Catalogna furono annullate e il Governo centralizzato in Madrid, in Castiglia. Ma non è la storia la ragione dello scontro che è soprattutto economico. La Catalogna vale 211 miliardi del Prodotto interno lordo spagnolo (PIL) che in totale nel 2016 era di 1.107 miliardi di euro. Di fatto, Barcellona con la moda e le banche vale quasi il 20% del PIL nazionale ha una disoccupazione al 13,2% (contro il 17,6% nazionale) e da tempo è insofferente verso la politica fiscale decisa a Madrid.
A prima vista la Catalogna avrebbe tutto il vantaggio economico a staccarsi dalla Spagna. Secondo i calcoli del Financial Times che cita l’economista e ministro dell’economia del governo Rajoy, Luis de Guindos, il PIL catalano potrebbe crollare del 30% e la disoccupazione raddoppiare. La ragione? Le esportazioni producono il 75% del PIL in Catalogna e invece di beneficiare di sconti fiscali, come vorrebbero gli indipendentisti, sarebbero gravati da nuove tasse e le imprese sarebbero costrette ad aumentare i costi. La previsione post indipendenza, per economisti e analisti, si sintetizza in una sola parola: recessione. E questo vale sia per la Catalogna, sia per la Spagna che ha nel porto di Barcellona il più importante snodo commerciale. Il presidente catalano Carles Puigdemont e il segretario di stato agli interni spagnolo José Antonio Nieto hanno confermato che non ci sarà alcun passo indietro. Nieto ha chiesto che sia annullato il referendum illegale, il Presidente ha detto che andrà “fino in fondo”.
IDEE DI INVESTIMENTO
Con Catalexit ad andare sotto pressione è stato lo spread della Spagna e il mercato obbligazionario. Lo scenario della secessione fa salire il rischio Paese e il tasso dei Bonos dopo il referendum ha segnato un rialzo di 8 punti base con un rendimento a 1,68%, mentre la Borsa di Madrid ha ceduto ma con vendite tutto sommato contenute. Il risultato del referendum, secondo un’analisi di Socgen è che si torna a parlare di rischio rischio politico domestico e di incertezza e il mix rappresentato da un governo di minoranza e la spinta indipendentista dei catalani potrebbe impedire alla Spagna di realizzare le riforme di cui ha bisogno. A spaventare è il debito pubblico fuori controllo: è quasi triplicato in rapporto al PIL dal 2007. «La partita è molto sentita in considerazione del fatto che la Catalogna, regione più ricca della spagna contribuisce alle entrate fiscali per il 17% ed ha un’economia estremamente florida», ha detto Alfonso Maglio, responsabile ufficio studi Marzotto Sim. Quale potrebbe essere l’effetto sui mercati finanziari? Per Maglio in linea teorica una secessione indebolirebbe i governativi spagnoli il cui rendimento è già passato da circa 1,6% a 1,67% odierno, l’IBEX (indice azionario spagnolo) sarebbe percepito come maggiormente rischioso ed oggetto di vendite e l’Euro perderebbe terreno se la situazione dovesse riportare alla mente degli investitori il timore dell’Euro brake up. Per giudicare gli effetti del referendum serve però tempo. «Chiaramente, la Spagna sta affrontando una grave crisi costituzionale, ed è probabile che continuerà a pesare sugli attivi spagnoli, ma non ci sarà il contagio sugli in altri mercati europei», ha detto Marie Owens, chief economist di Indosuez Wealth Management. «La crisi spagnola ha contribuito al relativo indebolimento dell’euro contro dollaro e questo è positivo per i mercati azionari europei».
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