Un anno fa nel pieno della campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti un gruppo di senatori guidati dalla democratica Elizabeth Warren inviò una lettera a Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, lamentandosi di come il social network più seguito al mondo fosse pieno di notizie sul clima false e spesso tendenziose. Oggi combattere le fake news sul cambiamento climatico è diventata una priorità per Facebook che, secondo quanto riporta Bloomberg, negli ultimi mesi ha cominciato un meticoloso controllo dei post degli utenti cercando di non minare la libertà di parola.
Gli attivisti per il clima non sono però contenti di questa iniziativa e a Mark Zuckerberg a marzo 2021 è arrivata un’altra lettera firmata da 13 gruppi ambientalisti tra cui l’Union of Concerned Scientists e Greenpeace, che chiedono a Facebook di impegnarsi di più nel monitorare la disinformazione climatica e di pubblicare dei report in merito alle cosiddette bugie climatiche che viaggiano sul social media. Gli ambientalisti vogliono una cosa semplice e difficile allo stesso tempo: la rimozione dei post che contengono disinformazione climatica perché le bugie sul clima fanno danni nel lungo termine se restano in rete e vengono condivise da migliaia di persone.
Mark Zuckerberg in un’audizione al Congresso americano avvenuta nel marzo 2021 ha ammesso che la disinformazione sul clima è “un grosso problema” ma, allo stesso tempo, un comunicato di Facebook ha affermato che la disinformazione sui cambiamenti climatici rappresenta una percentuale molto bassa delle fake news presenti sulla piattaforma senza però indicare un dato preciso. Una cosa è certa: anche solo una bugia climatica condivisa sul social media, che ha 2,8 miliardi di utenti, viaggia a una velocità esponenziale per tutto il globo perché l’algoritmo di Facebook è un’autostrada per l’informazione mondiale.
Come Facebook combatte le bugie climatiche
Su Facebook esistono pagine, gruppi e account che condividono bugie climatiche e negano la crisi climatica. Al momento il social media le etichetta e ne riduce la distribuzione avvisando l’algoritmo, ma non li rimuove. Per questo gli ambientalisti non vedono di buon occhio la strategia del social per combattere la disinformazione climatica che esiste da decenni ed è figlia spesso di un lavoro di lobbyng e marketing da parte delle industrie che più possono perdere dalla decarbonizzazione del Pianete, prime tra tutte le grandi aziende petrolifere.
La denuncia più forte in tal senso risale al 2015 con il Report della Union of Concerned Scientist (UCS) che è il primo ad aver scoperchiato il pentolone della bugie climatiche raccontate per quasi 30 anni, da molte delle più grandi aziende mondiali di combustibili fossili hanno consapevolmente lavorato per ingannare il pubblico sulle realtà e sui rischi del cambiamento climatico. Tra queste Exxon, British Petroleum, Shell, Chevron, Koch Industries, ConocoPhillips, Peabody Energy.
La strategia di Facebook non è cancellare le informazioni ma combattere quelle false con più informazioni. Per questo è nato Climate Science Information Center, uno spazio dedicato al servizio con notizie approvate dagli scienziati. Il centro appare come il primo risultato di ricerca quando gli utenti fanno domande su termini relativi al clima, come “riscaldamento globale” o “gas serra”.
I post approvati come corretta informazione sul clima hanno un’etichettatura che li evidenzia secondo un metodo che Facebook ha utilizzato per le informazioni sul vaccino Covid-19. Il Climate Science Information Center di Facebook è un buon inizio per combattere le bugie climatiche e resta un caso isolato nel mondo social media.
IDEE DI INVESTIMENTO
Le politiche per il climate change post Covid-19 sono un megatrend di investimento sostenibile su cui i gestori globali puntano con convinzione nella costruzione dei portafogli. L’impegno dei gestori di fondi nella decarbonizzazione del Pianeta è concreto e alle grandi case di investimento che si impegnano nella gestione del rischio climatico spetta il compito di stimolare il cambiamento anche in quelle aziende che fino ad oggi si sono dimostrate meno favorevoli ai processi ESG come, per esempio, le compagnie petrolifere.
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Note
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