Un sondaggio pubblicato intorno alla metà di agosto dice che Dilma Rousseff è la presidente meno popolare della storia democratica del Brasile: il suo indice di gradimento è inferiore a 10% e per i due terzi degli intervistati la soluzione ideale sarebbe l’impeachment, ovvero la rimozione dalla carica che ricopre. Ma non solo. Quasi un milione di persone è sceso in piazza per chiedere le sue dimissioni. Rousseff così come il predecessore, Luiz Inacio Lula da Silva, è stata travolta dalla scoperta del sistema di mazzette che ruotavano intorno a Petrobras, l’azienda petrolifera nazionale.
L’inchiesta Lava Jato, letteralmente autolavaggio ha coinvolto più di 50 esponenti politici, fra cui i presidenti delle due Camere, vari ex ministri e l’ex capo dello staff della stessa Dilma. Per far luce sullo scandalo è stata istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta.
Petrobras, monopolista nel settore petrolifero carioca, avrebbe sborsato più di 3 miliardi di tangenti, molti dei quali finiti agli esponenti del movimento della presidente Rousseff che li avrebbero impiegati per sovvenzionare la campagna elettorale della stessa Dilma, in passato a capo del Cda di Petrobras e ministro dell’Energia con Lula presidente.
Ma non c’è solo questo. Dietro a tanto malcontento c’è lo spettro della recessione. I dati ufficiali dell’Istituto nazionale di geografia e statistica (Ibge) hanno confermato il quadro previsto dalla Banca centrale brasiliana: il gigante sudamericano è rientrato nella fase di recessione tecnica, come era accaduto esattamente un anno fa.
Da aspirante a quinta potenza mondiale, il Brasile è piombato in una situazione di declino che non sembra avere fine: la contrazione del Pil è pari allo 0,15% nel 2016, a fronte di un -2% per l’anno in corso. Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), il Brasile ha un deficit fiscale strutturale a causa di una spesa rigida che impedisce un equilibrio tra tagli alla spesa e aumenti delle tasse. E per questo Fmi ha abbassato le sue stime prevedendo per il 2015 un Pil in calo dell 1,5% (contro le precedenti attese di -1%) e un ritorno alla crescita nel 2016 ma solo dello 0,7% (e non dell’1% come era stato previsto). L’inflazione che galoppa ormai oltre il 9%, più del doppio rispetto alle previsioni della Banca centrale, ha fatto il resto.
IDEE DI INVESTIMENTO
Qualcuno la chiama la maledizione delle materie prime, grazie alle quali il Brasile è riuscito a crescere a ritmi straordinari e ora, con la flessione della domanda di commodities unita a un rallentamento globale dell’economia, porta a un deprezzamento delle valute, il real in particolare di circa il 30%.
Ma sono già alcuni mesi che il mercato azionario del Brasile soffre, fanalino di coda tra i paesi BRIC e dal 2011 l’indice azionario brasiliano ha perso circa il 23%.
Secondo l’analisi di Amundi il rischio Paese adesso è ai massimi proprio a seguito dello scandalo Petrobras, la più grande azienda petrolifera pubblica, nel peggioramento del deficit fiscale e nell’aumento dell’inflazioni tre fattori di rischio importanti per il Paese guidato da Dilma Roussef.Per cercare di arginare la crisi, il governo sta studiando nuove misure: di una delle prime beneficerà il comparto automotive, che riceverà un credito fino a 5 miliardi di reais (circa 1,5 miliardi di euro) con interessi più bassi da parte della banca statale Caixa economica federal. E altri aiuti sono previsti per l’industria, nel tentativo di creare alternative al criticatissimo pacchetto di riforme fiscali voluto dal ministro delle Finanze, Joaquim Levy. Le speranze di ripresa sono però frenate dagli ennesimi scandali di corruzione, che minano ulteriormente la credibilità del governo. E parecchi ora sono pronti a scommettere che il mandato di Dilma terminerà prima del 2018.
Investire sul Paese adesso è quindi ad alto rischio ma per Mark Mobius Executive Chairman di Templeton Emerging Markets, che investe in una logica di lunghissimo periodo ed è bullish sul Brasile da febbraio di quest’anno: “una discesa così rappresenta un’opportunità irripetibile per entrare”. A patto di avere nervi molto saldi per sostenere una scelta “contrarian”, ovvero contro il mercato, e molto tempo da aspettare per raccogliere i frutti.
Ecco i gestori che hanno saputo contenere meglio le perdite da inizio anno (categoria Morningstar: Azionari Brasile).
- Allianz Brazil Equity AT EUR che perde il 19% da gennaio (e il 14% a tre anni). Il fondo si propone di generare una crescita del capitale nel lungo termine investendo almeno il 70%, direttamente o tramite derivati, in azioni e titoli ubicati in Brasile, mentre 30% in azioni di emittenti ubicati in paesi del Sudamerica o che generino almeno il 25% delle proprie vendite e/o dei propri profitti in Brasile.
- Aberdeen Global Brazil Equity Fund A2 ha come obiettivo di investimento le azioni di società aventi sede, o che svolgono gran parte della propria attività, in paesi dell’Asia e del Pacifico (ad esclusione del Giappone). Perde il 21% da gennaio e (-14,4% a tre anni)
- BNY Mellon Brazil Equity A EUR investe almeno tre-quarti del patrimonio in un portafoglio di azioni e strumenti finanziari collegati ad azioni di società aventi la sede legale in Brasile o che svolgono parte preponderante delle proprie attività in Brasile. Perde il 21,9% da gennaio (-15% a tre anni).
Note
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