In inglese si chiama risk aversion che tradotto in italiano significa “avversione al rischio” e fotografa il comportamento di un investitore che di fronte alla scelta di un asset su cui investire, a parità di rendimento, punta su quello meno rischioso. In questa fase di mercato post Brexit, l’avversione al rischio, che più banalmente si può definire “paura”, è la vera protagonista del mercato che è ipersensibile alle inclinazioni degli investitori, con performance che sono dettate più dai flussi di liquidità che dall’analisi dei fondamentali.

E la paura genera volatilità, che porta a variazioni repentine e imprevedibili delle quotazioni di qualsiasi asset. In queste fasi sbagliare direzione è facilissimo. Come fare? Serve un efficace termometro della paura che misuri l’avversione al rischio per non restare intrappolati in caso di ondate di panico, in grado di travolgere i listini.

Questi termometri sono il ferro del mestiere dei gestori di fondi che hanno scelto di fare della volatilità e delle sue variazioni una strategia di gestione. Cosa misurano? L’aspettativa di mercato nel breve termine. I gradi della febbre sono le opzioni e quando il mercato scende, di solito, la febbre, cioè il prezzo delle opzioni, sale. I tradizionali indici di mercato, infatti, si muovono, nella maggioranza dei casi, in controtendenza: se i primi salgono, gli indici di volatilità si mantengono su livelli bassi, e viceversa.

Ecco come funzionano gli indici della volatilità:

  • Il re di questi indici è il Vix, acronimo del CBOE Volatility Index nato mel 1993 ed elaborato dal Chicago Board Options Exchange, riflette le aspettative sulla volatilità a breve termine dell’indice della Borsa americana S&P500. Prima di Brexit il valore è salito fino a quota 24 – la media storica è intorno a 20 – subito dopo c’è stato un crollo fino a 15. Cosa significa? La paura, almeno in America, non è stata molta dato che la febbre non si è alzata così tanto come, per esempio, accadde a fine agosto 2015 con la svalutazione dello yuan cinese quando il Vix schizzò a quota 40.
  • Ogni Borsa ha il suo indice dedicato. Il Chicago Board Exchange, per esempio, ha creato un misuratore di volatilità per l’indice Nasdaq (VXN), il mercato Usa dove sono quotati i titoli più noti della tecnologia come Apple e Alibaba, e per l’indice Dow Jones Industrial Average, che racchiude le principali aziende americane. Tale indice non ha subito scossoni con la Brexit e viaggia stabile sulla sua media di 17 punti.
  • Anche il mercato italiano ha il suo barometro della volatilità. Si chiama FTSE MIB Implied Volatility (IVI) è un indice di volatilità che misura le variazioni guardando in avanti fino a un massimo di 180 giorni. Pre Brexit questo indice misurava 46 punti, ancora lontano dai 50 punti toccati ad agosto 2015, mentre dopo il voto del referendum inglese è sceso a 32 ma è in rialzo a causa delle turbolenze sul settore bancario. Questo indice è stato creato dal gruppo Ftse che detiene la Borsa di Londra in aggiunta all’indice di volatilità calcolato per il mercato azionario di Londra, il FTSE 100 Implied Volatility Index, che è oscillato tra 22 e 19 punti pre e post Brexit.
  • Ci sono poi gli indici di volatilità emessi dalle società che detengono le licenze sugli indici di mercato: il più usato è il VStoxx che esprime la volatilità per l’indice azionario Euro Stoxx 50 a 30 giorni, basandosi sulla volatilità implicita delle opzioni su questo indice. Pre Brexit questo indice è salito fino a quota 35, un livello alto ma comunque lontano dai 40 punti registrati ad agosto 2015. Dopo il referendum inglese il valore è sceso rapidamente intorno a 26.
  • Anche le grandi banche di investimento e alcuni asset manager hanno messo a punto indici proprietari per misurare la volatilità per misurare in casa il sentiment del mercato. E orientare meglio le scelte di portafoglio. Tra le prime a scendere in campo ci sono state Citi con il Macro Risk Index, che misura proprio il grado di avversione al rischio sulle asset class, e ha l’obiettivo di individuare la possibile bolle sul mercato; e un altro indicatore utile è il Risk Appetite Barometer (Rab) elaborato dagli esperti di Axa Im che misura le “soprese” possibili sul mercato anche in base al timore espresso dagli investitori.

IDEE DI INVESTIMENTO

Secondo il consensus degli analisti di Bloomberg, la volatilità resta una una delle protagoniste assolute dei prossimi 3-6 mesi. Questa è una condizione ideale per i trader, che puntano sull’irregolarità dei prezzi e sulle sorprese, mentre è la condizione peggiore per chi ha una strategia del “compra e aspetta”. La capacità di sfruttare le oscillazioni e accumulare profitti è proprio dei gestori quando la maggior parte degli investitori devono leccarsi le ferite o, quanto meno, cercare di controllare le proprie paure.

È una condizione di mercato che ormai domina dall’agosto scorso quando prima la Cina e poi le decisioni della Federal Reserve hanno provocato forti scossoni in Borsa. Ci sono gestori in grado di cavalcare gli indici che esprimo le aspettative sulla volatilità e fondi attivi specializzati e fondi sicav in cui il gestore, attraverso strategie sofisticate, scommette sull’aumento o sul calo della volatilità.

Ecco i migliori gestori sulla volatilità da inizio anno:

I migliori gestori della volatilità

ProdottiPerformance YTDVolatilità 1y
New Millennium VolActive A EUR Acc4,56%12,43%
Amundi Funds Absolute Volatility Euro Equities Classe Se4,44%5,19%
Multipartner THE 1.2 LUX EUR B3,52%5,54%
Nella tabella, i migliori prodotti che investono sui movimenti dei principali indici che misurano la volatilità dei mercati. Fonte: Morningstar Direct.

Note

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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