La sensibilità del mercato verso le manovre delle banche centrali è aumentata nel corso dell’ultimo mese. La ragione è semplice: la Banca centrale americana (FED) ha detto chiaramente che nel corso del 2023 ci saranno almeno due rialzi dei tassi di interesse americani. Inoltre con ogni probabilità il primo ritocco all’insù potrebbe arrivare già a inizio 2022.
Si tratta di un cambio di rotta che ha un impatto diretto sul mercato obbligazionario. I rendimenti delle obbligazioni a lungo termine sono diminuiti, mentre i rendimenti a breve termine sono aumentati e il dollaro si è rafforzato rispetto alle principali valute. Nel mercato azionario statunitense, i titoli growth hanno guadagnato, mentre i titoli value sono diminuiti. Reazioni attese che, secondo l’analisi di Morgan Stanley, indicano che gli investitori hanno ancora molta fiducia nella narrativa della banca centrale.
La manovra della FED ci riporta a un dibattito che è aperto ormai da quasi 20 anni: i dati economici in ripresa e i mercati dettano la politica della Fed o è la banca centrale a guidare i dati e i mercati? Dal 2008 in poi e per i successivi 11 anni le banche centrali hanno dominato la scena. Anche prendendo decisioni che spesso avevano poca considerazione dei dati di crescita, occupazione o inflazione. In questo contesto la volatilità è stata tenuta sotto controllo e le azioni americane, ma in generale a livello globale, hanno goduto di una delle loro migliori corse rialziste storiche.
Ora siamo in un ciclo economico completamente diverso. Gli strumenti politici della FED in gran parte sono gli stessi di quelli utilizzati durante la crisi finanziaria del 2008. E’ l’obiettivo a essere cambiato: non siamo di fronte a una crisi del credito ma a una crisi sanitaria che porterà ad un aumento delle tasse e alimenterà inflazione. Le misure di inasprimento monetario rispondono all’inflazione e potrebbero innescare un ulteriore aumento dei rendimenti sulle scadenze a breve termine, se l’inflazione continuasse a sorprendere al rialzo.
Gli impatti della mossa della FED
Secondo l’analisi di J.P. Morgan Asset Management, se guardiamo al di fuori degli Stati Uniti, altre Banche Centrali dovranno tener conto, implicitamente o esplicitamente, dell’orientamento della FED non fosse altro che per le dinamiche valutarie in gioco. Quel che pare chiaro è che la mossa della FED potrebbe dettare il passo di misure monetarie restrittive in gran parte del mondo.
In particolare:
- il mercato può scontare più facilmente rialzi dei tassi nelle economie sviluppate che possono generare inflazione, quali Regno Unito, Canada e Australia;
- l’inflazione strutturalmente bassa del Giappone indica che lì i tassi potrebbero restare immutati;
- l’Eurozona, invece, si trova in una zona intermedia. Le prospettive inflazionistiche non giustificano un riorientamento duraturo verso un ciclo restrittivo, e la possibilità che il mercato possa scontare in chiave tattica una politica di inasprimento monetario da parte della Banca Centrale Europea, probabilmente verso la fine dell’estate.
IDEE DI INVESTIMENTO
Per determinare una corretta asset allocation in questa fase di mercato gli investitori non devono ignorare i segnali della banca centrale. Si dovrebbe considerare la direzione e il livello dei tassi di interesse a medio e lungo termine, poiché sono determinanti per le valutazioni di obbligazioni e azioni. Secondo l’analisi di Morgan Stanley:
- Su fronte obbligazionario, in uno scenario di riprezzamento dei rendimenti reali, gli attivi più rischiosi potrebbero subire pressioni. Per il momento, tuttavia, con la ripresa economica saldamente in atto i bond emergenti e high yield restano favoriti.
- Sul fronte azionario, evitare pregiudizi di stile estremi e concentrarsi sulla riduzione delle azioni con prezzi eccessivi a favore di titoli value di qualità e titoli growth a un prezzo ragionevole.
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Note
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