I tassi sono uno degli strumenti di politica economica che questa crisi ha riportato alla ribalta e che certamente costituiscono ormai da qualche anno la principale leva che le autorità monetarie di tutto il mondo stanno utilizzando per sostenere l’economia e i mercati finanziari. A prescindere da come le politiche di espansione monetaria siano realizzate, significano sempre tassi bassi e liquidità al sistema con l’obiettivo di aumentare gli investimenti e talvolta di mantenere basso anche il valore delle valute nazionali favorendo le esportazioni.

Gli Usa, tra i precursori degli atteggiamenti più aggressivi e spregiudicati in questo senso, oggi considerati tra le economie meglio impostate, sarebbero ormai in procinto di procedere all’aumento del tasso di riferimento. Una decisione in tal senso, da tempo attesa e mai arrivata, la si prevedeva comunque entro l’anno in corso. Tale mancato rialzo aveva già preoccupato i mercati, unitamente al rallentamento della Cina e dei Paesi emergenti in generale. I recenti dati macro proprio americani, in particolare quelli sul mercato del lavoro, con il numero dei posti di lavoro a settembre sotto le stime e la revisione al ribasso dei dati dei 2 mesi precedenti, hanno indebolito nuovamente la fiducia ma hanno soprattutto reso sempre meno probabile un’intervento sui tassi nel 2015. Se a questo quadro si aggiungono elementi di natura contingente, già noti, come la Grecia, o nuovi come il caso Volkswagen, si spiega, l’aumento della volatilità e il pessimismo di taluni operatori.

I mercati, accanto ai movimenti di medio collegati prevalentemente alle previsioni macro mostrano anche reazioni di breve termine di segno opposto, legate alle previsioni sull’operato delle banche centrali. Non stupisce pertanto che il maggior pessimismo sull’economia sia accompagnato talvolta da movimenti dei mercati azionari che nell’immediato possono essere positivi perché implicano comportamenti più accomodanti da parte delle banche centrali come l’ennesimo citato rinvio da parte della FED.

L’impostazione di medio dei mercati azionari rimane per ora orientata al ribasso proseguendo un’intonazione che già a maggio ha cominciato gradualmente a deteriorarsi e che in estate ha riportato gli indici europei a valori vicini a quelli di inizio anno e quelli americani poco più in basso. A meno di rotture significative, che per l’Eurotoxx50 sarebbero in area 2900 e per lo S&P500 1800, le visioni più catastrofiche non paiono giustificate. Secondo molti analisti infatti, nonostante le difficoltà dei Paesi emergenti, le due principali economie del mondo (Europa e USA) sono relativamente in salute con un percorso di crescita, che pur non esaltante, pare consolidato. Allungando ancora l’orizzonte temporale dunque le prospettive non sono deteriorate soprattutto se si pensa al salvagente monetario che i banchieri centrali non sembrano voler lesinare in caso di necessità.

Sul mercato del reddito fisso, analogamente, i corsi sono temporaneamente risaliti (e i rendimenti scesi) in concomitanza con lo spostamento nel 2016 delle probabilità di rialzo dei tassi. Le prospettive di fondo rimangono peraltro invariate con alti e bassi determinati dalla consapevolezza che i tassi siano destinati a ritornare su livelli fisiologici ma che le autorità monetarie rimarranno accomodanti finchè sarà necessario all’economia.

Anche sui mercati valutari, non vi sono movimenti importanti con l’euro contro dollaro caratterizzato da una lieve tendenza al rafforzamento anche in questo caso probabilmente dovuto alla procrastinarsi dell’intervento FED. Rimane valido il range di oscillazione che ha come barriera al rialzo 1,15. Se dunque le forze in grado di mutare il quadro sono relativamente chiare, in parte esogene come gli interventi delle banche centrali, in parte legate al percorso di crescita ed alla capacità dei Paesi emergenti di resistere al rallentamento, l’aumento della volatilità si è già fatto sentire così come sono sempre più repentine e improvvise le correzioni.

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Note

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Luca Lodi

Luca Lodi

Competenze:
Head of R&D di FIDA, Finanza Dati Analisi, ha maturato competenze in quantitative finance, risk management, asset allocation, risparmio gestito, compliance, consulenza finanziaria e comunicazione. Coordina le attività di ricerca-sviluppo e formazione del gruppo (FIDAmind). Sviluppa metodologie quantitative per l'analisi di portafoglio, di strumenti e mercati finanziari.

Esperienza:
Coordina l’ufficio studi FIDA che realizza studi ed analisi ad ampio spettro utilizzando trasversalmente metodologie quantitative, tecniche e fondamentali. Docente presso l'Università di Torino (Scuola di Management ed Economia), si occupa di analisi quantitativa dei dati finanziari. Giornalista pubblicista, collabora con diverse testate editoriali.
Negli anni precedenti ha collaborato con ADB S.p.A come responsabile del settore Banche Dati e poi dell’Ufficio Studi.

Formazione:
Ha una laurea in Economia. Ha frequentato diversi corsi di specializzazione tra i quali “Global Asset Allocation” (SDA Bocconi), Frontiers In Fianancial Markets Mathematics (Università di Bologna).

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