L’evoluzione dei mercati nelle ultime settimane delinea un quadro coerente con il momento dell’anno. Siamo ormai in piena estate, i volumi contenuti e le prospettive di normalizzazione della politica monetaria, oltre che la maturità del ciclo finanziario che ha ormai abbondantemente superato i nove anni, contribuiscono a raffreddare i rally azionari senza tuttavia mutare l’impostazione strutturalmente espansiva dei Paesi sviluppati.
La maggior parte delle piazze si muove su terreno negativo, prima tra tutte Shanghai, seguita da buona parte delle Borse asiatiche e in generale degli emergenti. Correzioni più contenute per i listini del Vecchio continente mentre Oltreoceano siamo prossimi ai livelli di inizio mese. Anche sui mercati obbligazionari possiamo rilevare un vantaggio per le aree sviluppate, dove high yield e corporate in generale allungano.
I dati macro mostrano un’invidiabile solidità dell’economia USA, con tutti i principali indicatori in miglioramento, anche oltre le attese. In Europa, invece, è la Germania a deludere, con rilevazioni sensibilmente al di sotto di quanto preventivato in molteplici ambiti.
Nelle ultime settimane lo spread Btp-Bund ha avuto alti e bassi, un’altalena che oscilla tra i 200 e i 300 punti base. Nulla di drammatico se si rammenta il caos antecedente il 2012, quando Mario Draghi pronunciò il famoso «whatever it takes», per poi rincarare la dose a colpi di Quantitative easing (QE) dal 2015. Con il programma in via di conclusione è opportuno farsi trovare preparati: la normalizzazione della politica monetaria, che è già realtà oltreoceano e che presto interesserà anche l’area euro, inevitabilmente sconvolgerà gli equilibri totalmente innaturali che hanno ridisegnato il profilo di rischio-rendimento degli asset obbligazionari.
Noi abbiamo ancora tempo (non troppo!) per adattare i nostri portafogli alle nuove condizioni di mercato. Negli Stati Uniti, invece, il ritorno alla normalità sta subendo un’accelerazione.
A metà mese, come da attese, la Fed ha attuato il settimo rialzo dei tassi dal dicembre 2015 che porta il costo del denaro all’1,75-2%, con un incremento di 25 punti base. Si tratta del secondo rialzo dell’anno, e, non contento, il FOMC prevede ora complessivamente sette aumenti tra il 2018 ed il 2019, uno in più rispetto a marzo. Si ritiene quindi che quest’anno assisteremo ad altre due operazioni, e tre nel 2019. La Fed ha inoltre rivisto al rialzo le stime di crescita del Pil, l’inflazione e l’occupazione.
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