Nell’ultimo decennio i mercati hanno vissuto una ripresa quantomeno atipica, segnata, pur con tempistiche e dinamiche diverse, da una massiccia immissione di liquidità da parte delle principali banche centrali mondiali. L’iperattività della politica monetaria è stata contestata da più parti, anche autorevoli, perché ha indubbiamente avuto effetti perversi su tutti gli asset, portando all’esasperazione i multipli ed i corsi azionari dei listini americani, ed invalidando ogni modello basato sulla decorrelazione tra bond ed equity. Con i tassi a zero gli asset obbligazionari hanno subito conseguenze pesanti, che hanno ripetutamente deformato la tradizionale curva dei tassi e reso sempre meno appetibili le nuove emissioni di titoli a medio-lungo termine. La massa oceanica di cash passata attraverso il sistema bancario europeo ha però assorbito buona parte di queste emissioni, che oggi rappresentano una parte rilevante degli attivi degli istituti di credito, italiani e non.

Con la Brexit del 2016 ha avuto inizio una lunga stagione elettorale che ci ha regalato diverse sorprese, sia dal punto di vista del risultato che della reazione dei mercati. Complessivamente possiamo dire che le forze euroscettiche stanno guadagnando terreno, sottolineando le diverse criticità che inevitabilmente nascono dalla natura inconsueta della Bce, la banca centrale meno banca centrale di tutte. Nonostante le macroscopiche particolarità che la contraddistinguono, il Quantitative easing avviato nel 2012 ha rappresentato una misura efficace quantomeno a sedare la crisi dei debiti sovrani, esplosa l’anno precedente come conseguenza diretta degli sforzi sostenuti dai governi per affrontare la crisi dei mutui sub-prime. Un intervento per alcuni tardivo poiché l’onere di gestire le drammatiche conseguenze del 2008 è ricaduto principalmente sulla politica economica. Tuttavia, la scarsa capacità della politica monetaria a sostenere la domanda durante le recessioni e la natura bislacca della Banca Centrale Europea, che si concretizza in un mandato zoppo ed una limitata gamma di poteri, difficilmente avrebbero potuto generare un esito diverso.

Analisi di mercato: le profonde correzioni azionarie rilanciano i bond

È anzi probabile che sotto la direzione di Mario Draghi sia stato fatto molto per stabilizzare il sistema finanziario, pur rimanendo all’interno di limitati margini di manovra. Gli effetti del “whatever it takes” sono stati infatti capaci di trasmettersi, pur debolmente, all’economia reale, con indicatori macro in trend positivo, non cavalcante ma stabile. La conclusione del programma straordinario, che fino a poco tempo fa era considerata ormai prossima, ha fatto riemergere i forti squilibri interni alla Eurozona che si sarebbero dovuti affrontare nei sei anni in cui la politica espansiva li ha tenuti in coma farmacologico. Ciò non è stato fatto, o quantomeno non in maniera organica come si converrebbe in un’Unione, e questo è senz’altro un ulteriore ragione di nervosismo per i mercati, già inquieti per il rallentamento dell’economia e la maturità del ciclo.

Le regolari e profonde correzioni di questo 2018 hanno il duplice effetto di spaventare gli investitori che avevano trovato la loro comfort zone nell’utopico mondo della liquidità infinita e di fomentare l’euroscetticismo dilagante.
La Bce ne è cosciente, ed è forse per questo che la fine del QE prevista per quest’anno è ora meno certa. L’attenzione è tutta rivolta alla prossima riunione della Bce, in agenda giovedì 13 dicembre, in occasione della quale Mario Draghi potrebbe stupire con effetti speciali. Come accennato, la comunicazione della fine del Qe era data per scontata, così come un primo aumento dei tassi nel secondo semestre del 2019. Se così dovesse essere, non si escludono novità sulla politica di reinvestimento dei titoli già acquistati e sul lancio di una terza tornata di operazioni di finanziamento a lungo termine (Tltro) per l’anno prossimo.

In ogni caso, l’esplosione della volatilità dovrebbe indurci a mantenere una liquidità adeguata ed un’esposizione diversificata e quanto possibile coperta alle varie fonti di rischio. Il drenaggio in corso d’altronde rende meno interessanti i titoli azionari, a favore degli obbligazionari: il tasso risk free americano è decisamente interessante, se coperto dal rischio di cambio, e le flessioni sui bond europei offrono buone occasioni di acquisto.

Note

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Luca Lodi

Luca Lodi

Competenze:
Head of R&D di FIDA, Finanza Dati Analisi, ha maturato competenze in quantitative finance, risk management, asset allocation, risparmio gestito, compliance, consulenza finanziaria e comunicazione. Coordina le attività di ricerca-sviluppo e formazione del gruppo (FIDAmind). Sviluppa metodologie quantitative per l'analisi di portafoglio, di strumenti e mercati finanziari.

Esperienza:
Coordina l’ufficio studi FIDA che realizza studi ed analisi ad ampio spettro utilizzando trasversalmente metodologie quantitative, tecniche e fondamentali. Docente presso l'Università di Torino (Scuola di Management ed Economia), si occupa di analisi quantitativa dei dati finanziari. Giornalista pubblicista, collabora con diverse testate editoriali.
Negli anni precedenti ha collaborato con ADB S.p.A come responsabile del settore Banche Dati e poi dell’Ufficio Studi.

Formazione:
Ha una laurea in Economia. Ha frequentato diversi corsi di specializzazione tra i quali “Global Asset Allocation” (SDA Bocconi), Frontiers In Fianancial Markets Mathematics (Università di Bologna).

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