Il primo trimestre dell’anno ha consegnato agli osservatori dei mercati un quadro sfaccettato e, in alcuni tratti, quasi euforico. Testimoniato anche dall’impetuoso slancio di materie prime come il gas naturale e il rame. La scena globale, intrisa di tensioni geopolitiche e di un ambiente di crescente incertezza derivante dai colpi al sistema bancario statunitense – culminati nella crisi di alcuni istituti regionali – si è ulteriormente complicata a causa di politiche monetarie decise e inesorabili.
In questo contesto, la Federal Reserve ha mantenuto un tono risolutamente hawkish, nonostante le prime crepe che si facevano strada nel sistema creditizio. Mentre investitori e analisti si trovavano ad interpretare eventi e dati con una sensibilità quasi romanzesca. Vediamo in particolare cosa è accaduto.
Materie prime protagoniste
Fra le protagoniste del comparto delle commodity spicca il gas naturale, il cui balzo vicino al 30% appare assai sorprendente. Soprattutto se confrontato con un inverno europeo che si è rivelato meno rigido del previsto. Tale performance, tuttavia, va letta alla luce di una dinamica complessa: da una parte, la ricostituzione delle scorte ha prodotto un parziale sollievo nelle catene di approvvigionamento; dall’altra, i persistenti timori di rinnovati contraccolpi tra Russia e Occidente hanno alimentato una volatilità intrinseca. L’incremento della domanda industriale negli Stati Uniti ha ulteriormente propulso il prezzo spot, più conveniente rispetto ad altre fonti energetiche più onerose.
L’analisi si sposta sull’asse dei metalli, dove il rame – bene ciclico per antonomasia – ha registrato un incremento superiore al 25%. Ha riflesso quindi le speranze di una graduale accelerazione dell’economia cinese, sostenuta da segnali di parziale riapertura e dall’allentamento delle restrizioni che avevano frenato i consumi. Questo slancio si è propagato in misura paragonabile allo stagno, in crescita del 24%, mentre il settore degli asset rifugio ha assistito a performance rilevanti, con l’oro che ha toccato circa il +19%. Il metallo giallo, in questo contesto, non è soltanto un porto sicuro nei momenti di turbolenza, ma diviene anche il simbolo di un’inversione delle aspettative sui rendimenti reali, mai così prossimi a una fase di stallo da anni.
A completare la cornice, argento e platino hanno brillato con rialzi a doppia cifra. Sostenuti anche sia dall’avversione al rischio che dalla prospettiva di una ripresa nei settori industriali ad alto contenuto tecnologico. Il palladio, pur mostrando un progresso meno marcato, si distingue non solo per il tradizionale supporto dalla domanda automotive, ma anche per le riduzioni nelle esportazioni russe, che ne hanno compresso la disponibilità. Di contro, il cacao ha subito una débiâcle, scivolando al ribasso di oltre il 30%. Questo probabilmente a causa di un’offerta leggermente in eccesso e di consumi globali frenati da un persistente livello inflazionistico. Il petrolio, intanto, ha faticato a trovare un proprio ritmo, chiudendo appena sopra la parità in un trimestre costellato da oscillazioni, tra ipotesi di tagli OPEC+ e timori di un rallentamento economico internazionale.
Le tensioni geopolitiche influenzano le valute
Spostando lo sguardo al mercato del forex, si osserva un dinamismo altrettanto marcato. In linea con le tensioni geopolitiche e le dissonanze nelle politiche monetarie dei maggiori centri finanziari. Considerando le economie strutturate, il cambio euro/dollaro USA, che ha oscillato intorno al 4,50%, testimonia come anche le maggiori economie, pur adottando politiche monetarie aggressive, debbano confrontarsi con pressioni interne e dinamiche di liquidità internazionale.
Le configurazioni più contenute, evidenziate dai tassi marginali nel cambio euro/sterlina e euro/franco svizzero – rispettivamente intorno all’1,20% e all’1,8% – attestano la solidità di tali sistemi, in netto contrasto con le fragilità dei mercati emergenti. Mentre il ribasso vertiginoso del rublo russo, pari al 22%, ne simboleggia la decadenza a seguito delle sanzioni e del deterioramento della fiducia internazionale.
Sui mercati una tempesta perfetta
Nel quadro complessivo, l’attuale congiuntura dei mercati finanziari si presenta come il risultato di una tempesta perfetta. Dinamiche di offerta e domanda si scontrano con manovre di natura strategica. L’annuncio dei nuovi dazi doganali, comunicato il 2 aprile 2025, ha intensificato ulteriormente la tensione, provocando un effetto domino a livello globale. Le aggressive tariffe statunitensi – 34% sulle importazioni cinesi e 20% su quelle europee – hanno innescato un calo dell’8,5% all’apertura della borsa di Singapore, un crollo del 9,19% dell’indice Jakarta Composite (con conseguente sospensione temporanea delle contrattazioni) e perdite superiori al 3,5% nei mercati vietnamiti.
In Europa il panico ha travolto i principali mercati azionari: il DAX di Francoforte ha perso fino al 10%, il FTSE MIB di Milano il 7,6% e il CAC 40 di Parigi il 6,6%, con circa 890 miliardi di euro bruciati in sole tre ore di contrattazioni. Negli Stati Uniti, il sell-off degli indici MSCI USA e S&P 500, accompagnato da un deprezzamento del dollaro, ha alimentato previsioni di ulteriori tagli dei tassi d’interesse, in un tentativo disperato di stabilizzare un sistema in rapido deterioramento.
Questa crisi si dipinge, tuttavia, di una connotazione strategica che trascende il mero meccanismo delle tariffe e la speculazione di mercato. In particolare:
- Le misure aggressive, ufficialmente adottate per proteggere l’economia americana – con un annuncio paradossale denominato “Liberation Day” – svelano, a un livello più profondo, una possibile volontà deliberata di destabilizzare i mercati.
- Recenti dichiarazioni e azioni suggeriscono che l’amministrazione Trump potrebbe trarre vantaggio da un crollo generalizzato dei mercati, in quanto tale scenario faciliterebbe una riduzione dei rendimenti a lungo termine dei Treasury, abbassando così i costi di rifinanziamento di un debito pubblico che ammonta a circa 36 trilioni di dollari, con l’urgenza di rifinanziare ulteriori 7 trilioni nel breve termine.
- Le politiche tariffarie, unite alla risposta cinese – che ha imposto dazi del 34% sui prodotti americani – si configurano come parte integrante di una strategia finalizzata a spingere la Federal Reserve verso un taglio dei tassi d’interesse, riducendo così i costi del debito e riequilibrando la posizione economica degli Stati Uniti sulla scena globale.
La crisi come opportunità per tornare ai fondamentali
In ultima analisi, mentre alcuni esperti percepiscono in questa fase di crisi un’opportunità per riallineare i prezzi ai fondamentali di mercato nel medio-lungo termine, numerose voci accademiche ed operatori mettono in guardia contro l’eccessiva volatilità e il rischio di una perdita di fiducia da parte degli investitori, con il pericolo concreto di una recessione globale. Gli analisti vedono in arrivo nuove fasi di volatilità, ma anche spazi di ripresa e miglioramento, come sostiene Ersel: “per salvarsi serve diversificare”.
Trump, con manovre dichiarate e implicite, sembrerebbe orientare strategicamente questo crollo, con l’intento di sfruttare tassi più bassi per il rifinanziamento del debito pubblico e per ridurre i rendimenti a lungo termine dei titoli di stato – una strategia che, sebbene possa portare benefici sul breve periodo, comporta rischi sostanziali di instabilità economica e di deterioramento delle relazioni commerciali internazionali. L’equilibrio tra una politica economica aggressiva e la necessità di mantenere la stabilità dei mercati si configura, dunque, come una sfida ardua e persistente.
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