Dal 2016 a gennaio 2018 la Borsa cinese aveva fatto sognare gli investitori attratti dai mercati emergenti con un rialzo di oltre il 56%. Poi la politica protezionistica di Donald Trump ha rotto l’incantesimo e i dazi condizionano la nuova economia globale. Da gennaio a settembre 2018 la Borsa di Shanghai è caduta sotto i colpi della guerra commerciale tra Usa e Cina, a cui si è aggiunta la pressione di tapering e il rialzo dei tassi d’interesse americani. Il risultato? Il mercato cinese ha bruciato 5 mila miliardi di dollari di capitalizzazione dai record storici dell’estate 2015, mentre dai massimi del 2018, segnati a gennaio, l’indice Composite di Shanghai ha perso un quarto del suo valore.

In pieno record negativo sono entrati in vigore, nella notte del 24 settembre 2018, i dazi di Donald Trump su 200 miliardi di dollari di Made in China. La guerra commerciale fra le due superpotenze economiche adesso è reale e Pechino non intende stare ferma: l’unica strada è il contrattacco colpendo l’export americano. Per questo la Cina ha varato nuove tassazioni su 60 miliardi di dollari di merci americane con aliquote addizionali del 5% su circa 1.600 beni Usa inclusi computer e prodotti tessili e un 10% in più su oltre 3.500 prodotti tra cui carne, grano, vino e gas.

Ma non c’è solo questo. Per la prima volta la Cina intende usare il mercato e gli investitori esteri diversi dagli americani per reagire. La prova è che il governo di Xi Jinping da tempo promuove il libero scambio e questo ha portato, a partire da giugno 2018, le azioni cinesi di tipo A ad essere incluse nell’MSCI Emerging Markets Index, il benchmark utilizzato dai fondi di investimento globali per la composizione del loro portafoglio di investimento. Queste azioni sono emesse da società costituite in Cina e quotate a Shanghai e sulla Borsa di Shenzhen, e finora disponibili solo agli investitori cinesi.

In risposta ai dazi americani, la Cina ha deciso di utilizzare anche l’arma fiscale, aprendo agli investitori esteri. Per questo sono state approvate nuove norme che tagliano le imposte sugli investimenti esteri e abbattono le tariffe doganali e che sono dirette alle imprese cinesi e straniere . Tra gli incentivi previsti, per esempio, c’è un’aliquota preferenziale del 15% rivolta alle startup e alle imprese ad elevato contenuto tecnologico, oltreché a società di servizi digitali avanzati, a cui si aggiunge l’esenzione fiscale di due anni, e tre anni con un’aliquota del 12,5%, prima di arrivare al target del 15%. Ed è proprio sul terreno della tecnologia e dell’innovazione che la Cina vuole battere Trump e favorire uno sviluppo economico che coinvolga tutto il Paese.

IDEE DI INVESTIMENTO

La Cina è un asset di investimento importante per chi sceglie di puntare sui mercati emergenti, ma non c’è dubbio che i dazi americani avranno un peso determinante sull’economia del Dragone. Essi, secondo i calcoli di Amundi, possono valere un calo di circa lo 0,2% per il PIL cinese, dato che le importazioni degli Stati Uniti rappresentano circa il 3% del PIL cinese. Le potenzialità di investimento sul mercato cinese restano però invariate secondo Jp Morgan che sottolinea come nuove risorse estere potranno entrare nei capitali delle società cinesi, grazie alla graduale apertura del settore finanziario e alle agevolazioni fiscali. La politica di apertura ai capitali esteri da parte del Governo cinese sta dando i suoi frutti: da gennaio a settembre 2018 sono arrivati oltre 40 miliardi di nuovi investimenti grazie anche all’apertura del segmento A delle azioni cinesi. Il rischio, secondo Jp Morgan, è proprio nella politica di ritorsione della Cina che potrebbe portare a una svalutazione dello yuan.

Tenendo presente che il rischio sulla Cina è aumentato e l’ottica di investimento deve essere lungo periodo, almeno 5 anni, ecco due possibilità di investimento:

  • Per un investitore obbligazionario la Cina, insieme con l’India, resta un buon affare per entrare sui mercati emergenti. Per farlo conviene puntare sui fondi obbligazionari Paesi emergenti che hanno una buona percentuale di Cina in portafoglio.
  • Per un investitore azionario la scelta di scommettere sulla guerra commerciale tra Cina e Usa può passare dalla tecnologia puntando su fondi specializzati in tecnologia, il settore su cui la battaglia è più accesa. Ecco i migliori fondi azionari tecnologia che puntano su Cina e America. Intanto, vince ancora chi ha puntato sull’America secondo le tabelle elaborate da Morningstar per Online SIM che mettono a confronto i prodotti più investiti in Usa e in Cina.

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Note

Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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