L’economista e premio Nobel Johseph Stiglitz è convinto che se la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina dovesse cominciare ad essere combattuta sul serio, gli Stati Uniti avrebbero molto di più da perdere e che la Cina non può essere considerata debole contro le sanzioni di un “bullo” come Trump. La considerazione dell’economista e professore alla Columbia University sono arrivate dopo che Trump ha imposto dazi per almeno 60 miliardi di dollari sulle importazioni cinesi e la Cina ha risposto con dazi per circa 3 miliardi di dollari sulle importazioni dagli Stati Uniti, e ha annunciato di avere un “progetto globale” in cantiere.

Stiglitz è convinto che la Cina abbia una posizione migliore per resistere alla tempesta di Trump in caso di una guerra commerciale in piena regola. Questo perché ha gli strumenti e le risorse per aiutare le imprese e l’indotto colpito dalle conseguenze di una guerra commerciale mentre gli Stati Uniti no. La ragione? Il governo cinese può contare su 3.000 miliardi di riserve che possono essere utilizzate a sostegno dell’economia, mentre gli Stati Uniti non hanno questi mezzi. Lo sa bene Tim Cook, numero uno della Apple che non smette di lanciare appelli al presidente Trump con dichiarazioni che ruotano tutte attorno al la valore di mercati aperti per fare grande il Paese.

Tim Cook non è una mosca banca. Secondo The Economist per ogni azienda americana a favore delle politiche protezionistiche di Trump ci sono ben 3.000 oppositori e la lettera contro i dazi inviata dalle aziende dell’acciaio americane che avrebbero dovuto essere contente delle sanzioni contri i cinesi la dice lunga. La Cina di Xi Jinping non perde occasione per dichiararsi pronta a sedersi a un tavolo del commercio con gli Usa, ma nel frattempo ha istituito i propri dazi contro gli Usa ancora non si sa su quali merci. Ma le aziende americane più colpite potrebbero essere Boeing e Airbus, perché la Cina è un grande compratore di jet commerciali, e le aziende tecnologiche come Apple e Intel che hanno basi produttive significative in Cina, potrebbero essere schiacciate con misure punitive.

Un’ipotesi è che Pechino imiti le potenziali misure di ritorsione decise dall’Unione europea nei confronti degli Stati Uniti, colpendo le motociclette Harley-Davidson, per esempio, oppure potrebbe svalutare la sua valuta, lo yuan, per rendere le esportazioni cinesi ancora più competitive e far infuriare ulteriormente Trump. Tutte ipotesi, al momento. Tra i due litiganti di sicuro l’Unione europea non gode. La prova è l’analisi di Eurostat che dimostra come Usa e Cina rappresentano un terzo degli scambi commerciali dell’Ue, e si confermano principale partner economico nel 2017. La Cina ha triplicato la sua quota dal 2000 a oggi (da 5,5% a 15,3%), mentre gli Usa (16,9%) sono altalenanti (calo sino al 2011, poi ripresa sino al 18% nel 2015 e 2016).

IDEE DI INVESTIMENTO

La prima conseguenza di questo inizio di guerra commerciale è che il dato sulle importazioni risulta in calo sia in Usa sia in Cina. «Stiamo giocando un gioco piuttosto pericoloso. E se c’è una cosa che tutti noi conosciamo come economisti è che le guerre commerciali sono un gioco a somma zero, ognuno perde come risultato di esse”», ha detto Maya Bhandari, gestore del fondo Threadneedle (Lux) Global Multi Asset Income. «Spero che questo non segni l’inizio di una deglobalizzazione perché non penso che qualcuno possa trarne beneficio». Il percorso di Pechino è da tempo inverso: la Cina sta costantemente aprendo i suoi mercati ai flussi di capitali globali, mentre il presidente Xi Jinping consolida il potere a capo del partito comunista cinese.
Ed è proprio questa sfida al pensiero economico occidentale convenzionale che non piace a Trump. Da una parte, Xi sottolinea la leadership del Partito in tutti gli aspetti dell’economia. D’altra parte, promuove il libero scambio e si impegna a utilizzare i mercati come mezzo principale per l’allocazione delle risorse. Un esempio dell’apertura è che a partire da giugno 2018, le azioni cinesi di tipo A – emesse da società costituite in Cina e quotate a Shanghai e sulla Borsa di Shenzhen, e finora disponibili solo a gli investitori cinesi – saranno incluse nell’MSCI Emerging Markets Index, il benchmark utilizzato dai fondi di investimento globali per la composizione del loro portafoglio di investimento.

La top ten dei fondi azionari Cina

ProdottoRendimento 3yRendimento YTD
UBS (Lux) EF China Oppo (USD) P18,50%3,39%
Neuberger Berman China Equity USD A Acc14,38%4,15%
Vontobel mtx China Leaders Classe B13,90%0,42%
GAM Multistock - China Evolution Equity USD B12,89%-0,66%
Invesco China Focus Equity Fund Classe E Eur11,73%-2,74%
Janus Henderson Horizon Fund - China Fund Usd Classe A2 Acc10,80%-0,37%
Lfp Jkc China Value Classe P Eur10,24%1,93%
Schroder International Selection Fund China Opportunities C Accumulation USD8,90%0,20%
Edmond de Rothschild Fund - China A EUR9,23%0,54%
Fidelity China Focus E-ACC-Euro8,61%-0,36%
Nella tabella, i migliori fondi azionari che investono sulla Cina ordinati per rendimento da marzo 2015 a marzo 2018. Fonte: Morningstar.

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Note

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Autore

Roberta Caffaratti

Roberta Caffaratti

Competenze:
Giornalista segue da oltre 20 anni le dinamiche del mercato del risparmio gestito, della consulenza finanziaria e dei protagonisti del mondo degli investimenti. Per Online SIM scrive di scenari e storie di mercato, megatrend e idee di investimento, educazione finanziaria.

Esperienza:
É stata caporedattore di Bloomberg Investimenti e poi vicecaporedattore di Panorama Economy (Gruppo Mondadori).
Nel 2015, dopo la lunga carriera nella carta stampata economica, è passata alla comunicazione come responsabile delle attività di editoria aziendale e di content marketing di Lob Pr+Content occupandosi di progetti editoriali in diversi settori (risparmio, finanza, assicurazioni).
Dal 2015 cura la redazione dei contenuti del Blog di Online SIM, che oggi conta oltre 1200 articoli.

Formazione:
Ha una laurea in lingue e letterature straniere e una specializzazione in giornalismo.

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