Il mese di giugno 2017 che sta per concludersi si è rivelato particolarmente interessante per i numerosi spunti di riflessione che si sono succeduti. Diversi eventi elettorali hanno animato le ultime settimane, con riflessi sui mercati che però si mantengono, complessivamente, in espansione. Qualche flessione si è comunque verificata, in alcuni casi facendo anche presagire lo scoppio di una bolla, complici anche il ciclo ormai maturo e la convinzione, ormai diffusa, che questa brezza piacevole non potrà continuare all’infinito.
D’altronde molti listini sono sui massimi, la volatilità è ai minimi e le banche centrali si apprestano, pur con modalità e tempistiche diverse nel mondo, ad uscire dal tunnel delle politiche monetarie espansive. Un mix non molto gradito dagli operatori, che però, almeno per il momento, non sembrano ancora avvertire l’esigenza di alleggerire i portafogli.
Ripercorrendo l’agenda elettorale del mese, osserviamo come si sono orientati i mercati.
Le elezioni anticipate dell’8 giugno indette da Theresa May hanno avuto un esito controverso. Una vittoria di Pirro in cui i conservatori sono riusciti sì ad aumentare i propri voti in termini assoluti, ma hanno perso seggi (grazie all’incremento dell’affluenza, che ha sfiorato il 70%), salutando la maggioranza assoluta in Parlamento. È così fallito il proposito della leader conservatrice di avviare i negoziati con l’Unione Europea legittimata da un elevato consenso popolare. L’indice di Londra ha allungato, complice lo scivolone della sterlina, senza tuttavia discostarsi dal movimento discendente che ha caratterizzato il mese in corso come fisiologica correzione di un trend di medio termine decisamente favorevole (da gennaio 2017 l’indice ha infatti segnato nuovi massimi storici).
Il 18 giugno, nonostante l’astensionismo senza precedenti, Macron ha potuto piantare la sua bandierina oltre che all’Eliseo anche all’Assemblée Nationale, con la maggioranza assoluta. Ottime nuove per Angela Merkel, sua dichiarata sostenitrice, che silenziosamente continua a collezionare successi alle urne. Anche in Germania si sono svolte diverse consultazioni negli ultimi mesi che, nonostante il carattere locale, forniscono interessanti indicazioni sulle legislative del 24 settembre, che potrebbero regalare alla Cancelliera il suo quarto mandato.
Mercati: quali sono le conseguenze del fallimento del fronte euroscettico
La crisi di identità che ha attraversato l’Unione Europea pare ora ridimensionata, e potrebbe esserlo ancora di più nei prossimi anni, in cui potremmo assistere ad un nuovo importante passo nel percorso di integrazione. Infatti non si tratta solo del fallimento elettorale del fronte euroscettico, ma anche, e soprattutto, dell’interessante opportunità che si viene a creare grazie all’intesa ed alle sinergie tra i leader delle due principali potenze europee, la cui collaborazione potrebbe generare in tempi relativamente brevi importanti riforme. I topic riguardano principalmente il completamento dell’Unione bancaria, con il sistema unico di garanzia dei depositi, e la definizione di un nuovo meccanismo proprio dell’Unione monetaria volto a rafforzare gli investimenti. Potremmo poi assistere all’istituzione di un ministro delle finanze unico, con poteri decisionali sulle questioni riguardanti l’Euro.
Intanto l’impostazione di medio dell’EuroStoxx 50 (+ 7.50% da inizio anno) è ancora positiva. Al raggiungimento dei 3660 punti nel mese di maggio è seguita una delicata presa di profitto che, più recentemente, ha ridimensionato i corsi sugli attuali 3530 punti, a testare un livello supportile di rilevanza cruciale per la tenuta del trend.
Alcune analogie si individuano nell’andamento del Cac 40, la cui correzione è però frenata dal supporto 5230 punti generato dal gap up di Macron. Energia positiva anche a Francoforte, con il Dax che proprio sulla scia delle elezioni francesi ha superato la resistenza dei 12400 punti, segnando nuovi massimi assoluti arrestati solo dalla soglia psicologica a 13000.
Non solo elezioni, comunque. Anche le banche centrali sono da annoverare tra i registi delle ultime novità. La Fed, a metà giugno, ha provveduto ad alzare i tassi d’interesse Usa di un quarto di punto, raggiungendo così la fascia 1-1,25%. Nessun ripensamento sul programma di graduale normalizzazione della politica monetaria, nonostante i recenti dati deludenti sull’espansione. Dopo questo secondo aumento dell’anno (il primo è stato a marzo) il terzo rialzo nel costo del denaro rimane pianificato entro l’anno. Entro la stessa deadline c’è anche il proposito di iniziare a ridurre, a partire da 10 miliardi di dollari al mese, il colossale portafoglio titoli da 4.500 miliardi accumulato durante la crisi.
La reazione non ha tardato ad arrivare, e la flessione sui corsi delle obbligazioni in dollari Usa, sia corporate che governative, è stata piuttosto marcata.
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