La firma dell’accordo di Parigi da parte di Stati Uniti e Cina è il primo atto concreto dopo la Conferenza sul Clima indetta dalla Nazioni Unite Cop 21 che si è tenuta a dicembre del 2015 a Parigi. Il vertice si concluse con il primo vero accordo sul clima in cui gli oltre 200 Paesi presenti si impegnarono per ridurre le emissioni dei gas serra e per raggiungere un obiettivo importante: fermare la crescita della temperatura del pianeta al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale. Ma non solo. I Paesi industrializzati si sono impegnati anche ad alimentare un fondo da 100 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2021 per il trasferimento delle tecnologie pulite nei Paesi che non riescono a sostenere da soli la conversione verso la green economy e abbattere il nucleare.
La firma di Cina e Stati Uniti, che arriva a quasi un anno distanza da Parigi, è un passo importante che verso la possibilità che si raggiunga in tempi brevi l’approvazione definitiva dell’accordo che comporta l’adesione da parte di 55 Paesi, responsabili complessivamente del 55% delle emissioni. La ragione? Cina e Stati Uniti sono responsabili di oltre il 40% delle emissioni di gas causa dell’effetto serra, primo fra tutti l’anidride carbonica (CO2), ma sono in testa alla classifica anche delle emissioni degli altri gas responsabili dell’effetto serra, come metano e protossido d’azoto, legate sia al riscaldamento degli edifici sia alla deforestazione.
E nei programmi dei Paesi industrializzati per la decarbonizzazione dell’energia, le fonti rinnovabili continuano a battere il nucleare, anche quello che viene definito nuovo. La prova è contenuta nello studio condotto dall’università del Sussex insieme alla Scuola di Vienna per gli studi internazionali, pubblicato sulla rivista Climate Policy. Lo studio mostra come un impegno nazionale per l’energia nucleare vada di pari passo con un ridotto taglio delle emissioni di gas serra rispetto ai Paesi europei senza nucleare o con l’intenzione di ridurne la presenza. La ragione? I Paesi senza nucleare sono stati più veloci ad adottare eolico, solare e idroelettrico per ridurre la CO2 e rispettare i target Ue al 2020. Per gli esperti lo studio getta “dubbi sull’energia nucleare come risposta al cambiamento climatico”.
La Gran Bretagna blocca il nuovo nucleare e dice no ai cinesi
E non è un caso che lo studio sia inglese. Perché proprio la Gran Bretagna ha cominciato a cambiare rotta sul nucleare in maniera decisa. Meno di tre anni fa il premier David Cameron aveva chiuso il business con i francesi di Edf bloccando la costruzione di Hinkley Point C sulla costa del Somerset, la prima centrale nucleare inglese nuova dal 1995. I lavori sembravano ripartiti alla fine di luglio 2016 con l’annuncio da parte di Edf di nuovi investimenti per 18 miliardi di sterline (circa 24 miliardi di dollari) e il progetto, anche se in parte rivisto, avrebbe dovuto essere pronto già entro l’autunno.
Il premier post Brexit Theresa May ha però frenato gli entusiasmi e sta ripensando la politica energetica del Paese. La ragione? Secondo il Times, i britannici sono preoccupati del ruolo di China General Nuclear Power, il colosso statale cinese che contribuisce alla costruzione finanziando un terzo del progetto in cMBIO della possibilità di importare per la prima volta in Europa la sua tecnologia per costruire il reattore nucleare nella centrale di Bradwell in Essex. Adesso May vuole finire i lavori a Hinkley Point, senza i cinesi, Pechino non ci sta e il rischio è che l’intero progetto vada in fumo, ancora una volta. May prima di dare lo stop al progetto ha fatto bene i suoi calcoli.
Secondo un report realizzato dal dipartimento per l’energia del Regno Unito anticipato dal Guardian, l’eolico su terraferma e i grandi impianti fotovoltaici produrranno entro il 2025 elettricità ad un costo compreso tra le 50 e le 75 sterline a MW/h mentre quello da nucleare costerà tra gli 85 e le 125 sterline – Edf si era impegnata nell’accordo per un costo medio di 92,5 sterline. La convenienza economica del nucleare rispetto alle rinnovabili, dunque, non c’è ed è la prima volta che il Governo britannico lo certifica. La scelta di May non sarà indolore per la Gran Bretagna del dopo Brexit.
In un colpo solo, infatti, May si è messa contro Jim O’Neill, ex partner di Goldman Sachs, oggi sottosegretario al Tesoro americano che aveva spinto per un’alleanza con i cinesi, e con il Paese che dal 2008 detiene il primato di costruzioni di impianti nucleari: la Cina ha costruito 35 reattori (Pakistan, Argentina, Gran Bretagna, Turchia e Romania, per esempio) e ne ha 20 in costruzione (Iran, Arabia Saudita, Giordania, Algeria, Kenia e Sud Africa sono alcuni dei progetti in corso) anche se non ha strutture per lo smaltimento delle scorie radioattive.
IDEE DI INVESTIMENTO
La svolta energetica degli Stati Uniti verso le fonti rinnovabili è stata analizzata dall’Università di Stanford in uno studio che ha certificato non solo come sia sostenibile dal punto di vista economico ma ha anche fissato una data: con le tecnologie esistenti il Paese diventerà totalmente rinnovabile entro il 2050. Come? Attraverso l’eliminazione delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dai combustibili fossili con un risparmio di 3.300 miliardi di dollari l’anno.
Per investire sulle energie alternative e sul cambiamento climatico ecco i migliori fondi sui cui puntare:
- Sulla svolta verde degli Stati Uniti e del pianeta puntano i fondi azionari specializzati in ecologia che sono anche un tema forte della campagna presidenziale americana.
- Gli investimenti in energie rinnovabili sono in aumento in tutto il mondo: nel 2015 sono stati investiti 286 miliardi di dollari per l’elettricità verde e i combustibili rinnovabili secondo i dati del Renewables 2016 Global Status Report, il rapporto elaborato da REN21, l’organizzazione dell’Onu e riunisce governi, organizzazioni internazionali, ONG e associazioni di settore. A trainare lo sviluppo sono soprattutto i Paesi emergenti. Ecco i migliori fondi azionari che puntano sulla crescita delle rinnovabili.
Note
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