L’oro è senza dubbio l’asset dell’anno, il comparto che ha garantito i guadagni migliori per chi ha investito in fondi comuni con un ritorno medio del 70% da gennaio ad agosto 2016 per i prodotti specializzati in metalli preziosi. Un rialzo che è stato possibile non solo per l’andamento del prezzo dell’oro, che è salito del 25% da gennaio a fine agosto 2016, ma anche, anzi, soprattutto per l’ottima performance che le società del comparto legato alle materie prime hanno ottenuto in Borsa. Tanto che alcuni grandi scommettitori sull’oro pensano che questa corsa sia arrivata al capolinea.
La ragione? I prezzi delle società delle miniere sono troppo elevati, mentre le prospettive per i lingotti che sono direttamente legati al prezzo dell’oro rimangono molto positive.
Dalla parte di chi pensa che la corsa dei titoli minerari sia alla fine c’è George Soros che quasi un anno fa aveva fatto il pieno delle azioni della società canadese Barrick Gold Corporation e dell’americana Newmont Mining Corporation, scommettendo sul rally del metallo giallo dopo un crollo lungo quasi cinque anni.
Adesso questi titoli hanno raddoppiato il loro valore e Soros ha deciso di vendere tutto, pur continuando a mantenere o addirittura pensando di espandere le partecipazioni in oro fisico che mantiene intatte le sue potenzialità. Tanto che, secondo le ultime analisi di Credit Suisse, Bank of America Merrill Lynch e Ubs entro fine anno le quotazioni potranno arrivare fino a 1.500 dollari, con un ulteriore rialzo dai prezzi attuali (circa 1.350 dollari) di oltre il 10%.
Rally oro: i gestori escono dalle miniere, restano sul lingotto
Per i grandi produttori di materie prime, invece, la corsa potrebbe essere davvero alla fine. Così mentre i gestori pensano di alleggerire drasticamente le posizioni sui titoli, i fondi specializzati in metalli preziosi continuano a fare il pieno di raccolta: nell’ultimo mese l’afflusso netto è stato di 2,37 miliardi di dollari, secondo dati Bloomberg. Nello stesso periodo le azioni dei principali produttori hanno iniziato a correggere al ribasso, insieme con l’indice Bloomberg che monitora i titoli delle miniere d’oro che resta comunque il miglior paniere con un rialzo del 119% da inizio anno. Al primo sentore di discesa e dopo una corsa così lunga, i grandi gestori che hanno speculato al rialzo hanno cominciato a vendere.
Lo ha fatto Soros, lo ha fatto il fondo hedge Renaissance Technologies di Jim Simons, che ha venduto quasi tutte le sue partecipazioni in Goldcorp e Yamana e più di un terzo della sua partecipazione in Barrick Mining. Resta l’interesse per il lingotto anche se, anche qui, i prezzi cominciano a scoraggiare gli acquirenti perché sono arrivati ai massini dal 2014. La prova? La Cina, il più grande consumatore mondiale di oro, ha cominciato a tagliare le importazioni da Hong Kong nel mese di luglio. E non c’è solo la Cina, secondo i dati del World Gold Council il 70% della domanda di oro mondiale dipende da Cina, India e Far East ed è scesa del 18% anno su anno nel secondo trimestre del 2016.
IDEE DI INVESTIMENTO
Nonostante il calo della domanda mondiale, nel secondo semestre 2016 la richiesta è stata di 1.050 tonnellate (erano 910 tonnellate dello stesso periodo del 2015) e il prezzo dell’oro, il fixing come viene chiamato in gergo, è diventato un affare. La prova è la guerra scoppiata a metà agosto a Londra: a una parte c’è Goldman Sachs, la banca più potente nelle materie prime che si è alleata con Industrial and Commercial Bank of China (Icbc); dall’altra c’è Jp Morgan alleata di Hsbc, la prima banca inglese. Il nodo del contendere è lo scambio dell’oro spot che avviene fuori dal mercato ufficiale di Borsa.
Chi stabilisce il prezzo? Gli scambi sono effettuati al London Bullion Market Association, il mercato dell’oro della City che vale circa 5 mila miliardi di dollari, e finora a decidere il prezzo dell’oncia sono le contrattazioni private tra le singole controparti. Per Goldman Sachs e Icbc le cose devono cambiare e servirebbe una piattaforma simile a quella che attualmente regola gli scambi, mentre Jp Morgan e Hcsb vogliono che il sistema resti invariato migliorandone la trasparenza.
La guerra del fixing che, secondo il Financial Times, andrà avanti nei prossimi mesi influisce relativamente sulle quotazioni dei fondi azionari specializzati in metalli preziosi che più di tutti hanno beneficiato della corsa dell’oro e dei titoli della aziende minerarie. Il rialzo medio è stato del 70% da inizio anno e sull’esempio di George Soros potrebbe essere il momento giusto per portare a casa un guadagno importante.
Ecco i migliori tre azionari metalli preziosi da gennaio 2016:
- Lo Funds World Gold Expertise (usd) Classe R ha reso il 91,41% da gennaio ad agosto 2016 (+3,88% a tre anni). Il fondo gestito da Van Global punta il 743% del portafoglio su titoli delle società quotate in Canada ed è investito al 100% in aziende globali legate alle materie prime.
- Franklin Gold And Precious Metals Fund Classe A (acc) Eur gestito da Steve Land e Frederick Fromm ha guadagnato il 90,7% da gennaio alla fine di agosto 2016 (+8,20% a tre anni). Il fondo è investito al 100% in titoli di società quotate che operano nelle materie prime. Il primo mercato in portafoglio è il Canada (60%) seguito dal Regno Unito (13%).
- Deutsche Invest I Gold and Precious Metals Equities NC è gestito da Manuel Tenekedshijew e Terence Brennan. Da gennaio ad agosto 2016 ha reso l’85,6% (+0,60% a tre anni). Il portafoglio del fondo è investito al 57% sul mercato canadese, seguito dal Regno Unito (11%).
Note
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.