La leggenda narra che la decisione più drastica mai presa sulla strategia di Facebook sia nata un anno fa, assolutamente per caso quando Chris Cox, chief product officer del social network della società guidata da Mark Zuckerberg si sedette attorno a un tavolo con sei manager per discutere dei più importanti progetti che avrebbero dovuto concretizzarsi nel 2015. Uscito da quella riunione, Cox arrivò a una convinzione: si doveva fare qualcosa per cambiare il bottone “like”, il mi piace universale in tutte le lingue.
Un anno dopo ci siamo, quasi. E la svolta è epocale perché cambiare il “like” è come modificare la formula della Coca Cola dal momento che è il motore stesso di Facebook con oltre 6 miliardi di click al giorno e un simbolo per il social network più redditizio del mondo (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim). Ma ha un difetto: qualsiasi cosa si condivida sulla propria bacheca raccoglie “like” anche quando si condividono notizie non proprio gradevoli come il terremoto in Nepal o la morte di una persona cara o del proprio cane e gatto.
Cox aveva provato già in passato a sollevare la questione ma non aveva trovato terreno fertile, anzi. Pare che Mark Zuckerberg abbia a lungo fatto finta di non sentire, poi qualcosa è cambiato.
La ragione? In primo luogo perchè è tramontata l’idea abbastanza ovvia di inserire semplicemente il bottone del “dislike”, non mi piace. Troppo banale e, soprattutto, troppo negativa.
Adesso Zuckerberg ha cambiato idea e ha lasciato a Cox il compito di trovare la strada giusta. E la soluzione adesso c’è: il bottone “like” dovrebbe diventare “reactions”, che in italiano suona come reazioni, e in senso allargato interazioni, e dovrebbe comprendere almeno sei emozioni che il post può suscitare.
Non c’è ancora la data esatta in cui questo pulsante farà il suo debutto, ma non si torna indietro. In pratica, si tratta di un ampliamento del tasto “like”: basterà cliccare su questa funzione per ottenere una barra con sei icone oltre al pollice. E sotto il post comparirà un conteggio di ogni singola icona.
E come in tante storie americane, a cambiare la strategia e in un certo senso l’anima della società più capitalizzata di Wall Street non è il suo fondatore, ma un manager con un’idea. Cox, 33 anni, laureato a Stanford in ingegneria con una specializzazione in intelligenza artificiale, lavora in Facebook dal 2005, non è tra i manager della prima ora, non è un miliardario. Ha affiancato Zuckerberg quando gestendo “the big blue”, era impegnato ad allargare il business con Instagram, WhatsApp, Oculus Rift. Ed è stato Cox ad imprimere una svolta culturale all’azienda, verso un rapporto più empatico e collaborativo, con discorsi motivazionali e riunioni ogni lunedì mattina. Il risutato? Tutti e 12 mila impiegati a Menlo Park conoscono il suo nome.
A Cox si deve anche l’invenzione delle News Feed, lo scroll senza fine degli aggiornamenti del social network, che utilizza una formula segreta e decide se far vedere prima le notizie di politica o gli aggiornamenti dei propri amici. Il lavoro di Cox è stato in qualche modo “oscuro” fino alla quotazione in Borsa nel 2012.
Allora Zuckerberg decise di presentare al mercato e al mondo i suo manager di punta, tanto da inserirlo nel filmato preparato per gli investitori dove accanto al fondatore appariva anche la chief operating officer Sheryl Sandberg. Da quel momento non è più un segreto che Cox sia uno dei migliori amici di Zuckerberg, sempre al suo fianco, anche se completamente diverso da lui. Perché Cox veste alla moda, suona in un complesso reggae ed è molto sportivo. Empatia, è la parola che usa di più e non è un caso che abbia voluto moltiplicare le emozioni di Facebook. Con un obiettivo: creare un vocabolario universale delle emozioni digitali.
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