Gli ultimi sondaggi dicono che se i cittadini britannici andassero a votare oggi, il 45% voterebbe il suo no convinto all’Unione Europea. Il risultato del sondaggio di You Gov che è stato pubblicato dal quotidiano londinese The Times rafforza l’ipotesi che Brexit, come viene chiamata la voglia di indipendenza anglosassone dall’Unione Europea, è qualcosa di più di un timore. Il campione era ristretto, solo 1.700 interviste, ma fa riflettere che solo il 36% degli interpellati sia per la “Bremain”, ovvero la voglia di restare in Europa e quasi il 20% sia indeciso e non voglia il referendum. E soprattutto fa riflettere che le riforme concordate con Bruxelles rappresentino un compromesso adeguato solo per il 22% degli inglesi, mentre il 56% le respinge con forza. Come dire: niente Ue, siamo inglesi.
Del resto, che la Brexit sia più di un venticello separatista è stato chiaro subito dopo il fallimento dell’incontro a fine gennaio tra il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il premier britannico David Cameron, che ha chiesto concessioni in cambio della permanenza della Gran Bretagna nell’UE. Cosa chiede Cameron? Un cosiddetto “freno di emergenza” ai benefici per i cittadini europei che si trasferiscono nel Regno Unito, che possa essere introdotto subito dopo il referendum sulla Brexit e che non abbia limiti di tempo.
Cosa significa? Un europeo che per i prossimi sette anni si trasferisce a lavorare in Inghilterra dovrà aspettare almeno 4 anni per avere gli stessi diritti lavorativi di un inglese. L’obiettivo è ridurre l’immigrazione netta, da mesi ben oltre i 300 mila individui l’anno, al di sotto dei 100 mila. La linea scelta da Tusk, invece, è che l’accordo sia accettabile per tutti i 28 membri e che “non ci siano compromessi sulle libertà fondamentali”, con un chiaro riferimento alla discriminazione verso gli immigrati.
Secondo la stampa inglese, il primo ministro punta a una svolta nei negoziati, mentre sente il fiato sul collo dei conservatori euroscettici che continuano a bollare i suoi sforzi come inutili e il freno di emergenza come una concessione irrisoria. Tanto che, in vista del Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio, c’è il rischio che qualsiasi cosa Cameron ottenga non riesca a convincere i separatisti d’Oltremanica, che aumentano di giorno in giorno. Per questo il premier vuole accelerare, anche perché se dovesse chiudere rapidamente le trattative con Bruxelles, il voto potrebbe essere fissato già a giugno e ciò non permetterebbe ai conservatori euroscettici di avere il tempo di fare una adeguata campagna per convincere i britannici a uscire dall’Ue.
IDEE DI INVESTIMENTO
David Cameron spinge per una conclusione rapida della trattativa con Bruxelles perché sa bene che il conto che pagherebbe la sua nazione uscendo dall’Ue è elevato (Leggi qui l’approfondimento di Online Sim). In attesa che una data del referendum venga fissata, gli analisti hanno cominciato a fare i conti in tasca all’Inghilterra, evidenziando due fattori che pesano come macigni sul futuro economico della nazione e degli investitori in sterline.
- La sterlina può deprezzarsi fino al 20% secondo gli analisti di Goldman Sachs. La svalutazione della divisa inglese, secondo la banca d’affari americana, sarebbe dovuta all’interruzione di flussi di capitali stranieri. Finora la discesa della valuta britannica è coerente con la discesa dei tassi di interesse nel Regno Unito e con il contesto di rischio globale, ma qualche segnale di un effetto Brexit sta emergendo.
- Il Pil può scendere del 2% per gli analisti di Credit Suisse che stimano uno choc finanziario in caso di uscita del Regno Unito dall’Unione europea dopo il referendum. Anche in questo caso, il nodo centrale è lo stop degli investimenti stranieri sul Paese che, secondo la baca d’affari svizzera, avrà conseguenze dirette negative sia sui conti pubblici, con un deficit che può esplodere oltre il 5%, sia sulla sterlina.
Note
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