Cresce la preoccupazione nel mondo per il virus Zika. E come in un copione già visto per Sars ed Ebola, la nuova epidemia che arriva dalle zanzare è diventata un affare economico. I fondi per finanziare la ricerca adesso cominciano ad arrivare. La prova? La Commissione Ue ha sbloccato 10 milioni di euro per ricerche urgenti per arginare “l’emergenza di salute pubblica nazionale” e ha chiesto a molti ricercatori impegnati in progetti sulle malattie tropicali di rifocalizzarsi su Zika. Così hanno cominciato a moltiplicarsi annunci di società che dichiarano di avere già pronto il vaccino.
La verità è che, al momento, non c’è alcun vaccino per combattere il virus Zika, solo una profilassi per guarire dalla febbre con non si sa quali conseguenze nel medio periodo. Ci sono, però, diverse società che stanno lavorando per trovare un rimedio a questa nuova epidemia sono finite sotto la lente dei grandi investitori a caccia di buoni affari in una borsa asfittica. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di società biotecnologiche molto orientate all’innovazione e quotate al Nasdaq.
Le grandi aziende, esattamente come era accaduto per la Sars prima e per Ebola dopo, non credono sia un buon affare e per ora ne stanno fuori. Trovare la cura per una malattia rara, infatti, per i colossi farmaceutici non è un business: la messa a punto di un farmaco o di un vaccino è un procedimento costosissimo, e un’azienda farmaceutica non potrà mai recuperare l’investimento vendendo sul mercato la terapia. La ragione? Secondo il Center for Global Development, per sviluppare un farmaco o vaccino si spende in media 1 miliardo di dollari per arrivare al risultato.
Per recuperare tale investimento bisogna che l’epidemia sia davvero mondiale, e per ora Zika non lo è e non rischia di diventarlo. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale sella Sanità (Oms) sono 33 i Paesi nel mondo dove il virus è autoctono, con Brasile, Colombia e Venezuela tra i più colpiti.
La corsa al vaccino è, comunque, cominciata e ha rivitalizzato l’intero settore biotech dove si sfidano le aziende farmaceutiche più innovative che puntano tutto sulla ricerca. Tra le più titolate a trovare una cura efficace c’è Invio Pharmaceuticals che è salita del 59% nell’ultima settimana. La società americana ha stretto un accordo a gennaio con la coreana GeneOne Life Science per lavorare in maniera congiunta al rilascio di un vaccino. Sotto i riflettori c’è anche Intrexon, che ha guadagnato quasi il 30% ed è arrivata a capitalizzare 4 miliardi di dollari sul New York Stock Exchange (Nyse). La società ha acquistato di recente l’inglese Oxitec, specializzata proprio nella ricerca degli insetti, per procedere insieme nella ricerca di cure non solo per la Zika ma anche per la Dengue, un’altra epidemia che arriva dalle zanzare.
E poi c’è Bharat Biotech, azienda indiana che cerca di arrivare per prima alla commercializzazione del vaccino perché è già in fase di test sugli animali. La società sta lavorando a due alternative di cura: la prima si basa sul Dna per stimolare una risposta genetica; l’altra è la classica formula del virus disattivato che uccide quello attivo. La fase di test è solo all’inizio.
IDEE DI INVESTIMENTO
In Borsa si dice: “Follow the money”, ovvero segui il denaro. In queste ultime settimane, dove le idee sui listini sono poche e molto confuse, Zika è arrivata quasi come un’illuminazione. Adesso che il virus è sbarcato in Occidente, con casi in America ed Europa, e che l’Oms ha certificato che il contagio è possibile anche per via sessuale e ipotizza anche la possibilità che sia trasmissibile via trasfusione di sangue è scattato l’allarme rosso, con una prima pioggia di fondi pubblici per sostenere le case farmaceutiche più avanti nella strada per arrivare al vaccino. Da anni l’Oms cerca di coinvolgere il Big Farma nella lotta alle malattie rare e ai virus anche comuni (malaria, tubercolosi, lebbra) ma la risposta dei privati è stata sempre fredda.
Non c’è dubbio però che i titoli del settore farmaceutico e i fondi specializzati possono trarre vantaggio da questo nuovo interesse del mercato che è un trend di lungo periodo. La ragione? La firma da parte del Big Farma della Dichiarazione di Londra nel 2012 quando l’Oms ha messo nel mirino 17 patologie dei Paesi del terzo mondo (malaria, tubercolosi, lebbra, vermi intestinali, ebola) e vincola i firmatari — tra cui i maggiori colossi del settore e i mecenati come l’ex numero uno di Microsoft — a debellarne entro il 2020 almeno dieci.
Ecco i migliori tre fondi a tre anni che investono nell’innovazione farmaceutica (Categoria Morningstar: Azionari Biotecnologie):
- Credit Suisse (Lux) Global Biotech Innovators Equity Fund ClasseB USD Cap è gestito da Irene Püttner e tre anni rende il 26,9% e in veste il 97% del portafoglio in società quotate sul listino americano.
- Candriam Equities L Biotechnology Classe N rende il 26,44% a tre anni ed è gestito da Rudi Van den Eynde. È un azionario globale ma gran parte degli attivi è investita negli Stati Uniti. La gestione del fondo non è legata ad un benchmark specifico.
- UBS (Lux) Equity Fund – Biotech (USD) Q-acc è gestito da Nathalie Petrus e Sara Cotter e rende il 26,40% a tre anni. Investe il 90% del portafoglio in America.
Note
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