Il mese di aprile 2022 è stato segnato da mercati in controtendenza rispetto al precedente. Nell’ultimo periodo, infatti, sono i prodotti azionari a contabilizzare perdite diffuse, mentre gli obbligazionari evidenziano qualche miglioramento, almeno dal punto di vista di un investitore europeo. Dollaro e materie prime dominano la scena.
Tra i principali listini mondiali a distinguersi è Istanbul, che avanza di quasi 9 punti percentuali (in valuta locale) e che mantiene il primato da inizio anno, superando il 30% di apprezzamento. In seconda posizione, Mosca avanza di quasi il 6%, ma nell’anno corrente rimane la più debole a -32%. Anche Atene conquista il podio con un +5%, ma rimane tiepida con riferimento al 2022. Il resto dei listini si muove attorno alla parità o in terreno negativo. Le piazze europee si posizionano complessivamente meglio, davanti alle asiatiche ed alle americane. Queste chiudono il ranking con ribassi anche pesanti soprattutto per quanto riguarda i titoli tecnologici: il Nasdaq cede infatti oltre il 13%.
Le classifiche degli indici FIDA, costruiti sui prodotti del risparmio valorizzati in euro, sono da leggere alla luce dei rilevanti movimenti registrati sui mercati valutari. In aprile, infatti, il dollaro USA si rafforza del 5% contro la moneta unica. Altri movimenti importanti riguardano la ripresa del rublo (+15% su euro) e la flessione dello Yen (-1.65%).
Le categorie azionarie
Per quanto concerne le categorie azionarie a specializzazione geografica, solo il 16% è in attivo e nel complesso il rendimento medio si attesta a -1.6%. Questo con una dispersione del 3.5%, in lieve diminuzione. Coerentemente con gli indici di borsa, è la Turchia a dominare il mese di aprile, con un allungo del 15%, dal quale si evince una discreta sovra performance data dalla gestione attiva rispetto al benchmark (oltre al +9% realizzato dal mercato di riferimento, la lira turca risulta in apprezzamento di quasi quattro punti percentuali). Analogo discorso per il mercato indonesiano, dove l’indice attinente segna +2.2%, la rupia allunga del 4% e i prodotti del risparmio gestito portano a casa un ottimo +10%. Degne di nota anche le performance dei comparti Africa e Medio Oriente (+8% circa).
L’overview sulle categorie azionarie settoriali mostra una circostanza particolare: una sotto performance rispetto ai geografici. Il rendimento medio è infatti di quasi -3%. Tra i pochi settori in attivo troviamo le energie tradizionali (+3,5%), l’agricoltura (+2%, raramente tra i migliori), le infrastrutture e le risorse naturali (circa +1,5%). In aprile, le posizioni migliori sono legate all’industria e alla produzione di beni materiali. Anche l’immobiliare si piazza bene, pur viaggiando solo poco sopra la parità. A cedere, anche molto, sono ancora i settori ad alto contenuto innovativo, come fintech, telecomunicazioni, robotica, IT, energie alternative e biotech. Dal punto di vista tecnico sono numerosi i trend di medio-lungo termine positivi prossimi ad essere invalidati.
Analisi di mercato: con super dollaro la FED diventa più cauta
Neanche sui fondi obbligazionari il quadro è positivo (in media cedono di ottanta punti base). Il trend nell’anno corrente è ancora negativo, ma si conferma un rallentamento rispetto ai periodi precedenti: salgono al 35% le categorie in attivo, contro il 24%, l’8% ed il 10% precedenti.
Da un punto di vista puramente numerico, il debito Usa è l’asset più performante per un investitore obbligazionario europeo, con risultati che sfiorano piacevolmente il 5%. L’effetto è da attribuirsi esclusivamente al rafforzamento del dollaro. Al netto dell’effetto del cambio anche i bond a stelle e strisce cedono. E non solo. Con il costo ulteriore determinato dalla copertura lasciano sul terreno il 3.6%.
Dollaro e commodities (acquistate in dollari) in questa particolare congiuntura di mercato rappresentano gli asset d’elezione degli operatori. Se da un lato c’è un’Europa che sta affrontando le conseguenze probabilmente strutturali di un conflitto dall’esito incerto, che potrebbe costringere a mutare processi produttivi ed equilibri commerciali in modo talvolta contrastante, dall’altro abbiamo degli Stati Uniti sostanzialmente immuni alle tensioni della guerra. Con un mercato del lavoro più tonico che mai ed un’inflazione da domanda che, nonostante il raffreddamento, si conferma superiore alle aspettative. La reazione della Fed, con il suo consistente aumento dei tassi, ha generato il timore che una minore disponibilità di liquidità sui mercati potesse raffreddare la domanda di asset finanziari, in un mondo che da oltre un decennio vede le borse sostenute da politiche monetarie accomodanti.
Ad oggi, le intenzioni della Fed paiono orientate a proseguire con il programma di rialzi, ma con il dollaro in aumento di oltre il 7% dall’inizio dell’anno (contro euro) gli esportatori potrebbero trovarsi a vivere una congiuntura non propriamente rosea. L’equilibrio in gioco è delicato, come sempre, e i banchieri centrali lo sanno bene.
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