L’attesa è stata spasmodica. Ma alla fine, gli spettatori sono usciti dalle sale con l’ennesimo nulla di fatto. Sembrava quasi scontato alla vigilia e la Yellen non ha voluto regalare sorprese ai mercati, già in equilibrio precario. Non tanto importante il possibile rialzo di un simbolico 0,25% quanto estrapolare, dalle sue parole, il percorso di rialzo che inevitabilmente, prima o poi, dovrà essere intrapreso. Le parole sono state chiare e rassicuranti. L’atteggiamento dovish (morbido) proseguirà a lungo e i rialzi successivi continueranno ad essere condizionati dai dati macro e dalla stabilità del sistema globale.
Se la decisione della Yellen è stata quella di non forzare la mano e proseguire con prudenza non è certo a causa dei dubbi sulla solidità dell’economia americana, bensì per la situazione globale che resta alquanto intricata. Con crescita sostenuta e disoccupazione ai minimi, l’unico tassello mancante a livello domestico resta il tasso di inflazione che ad agosto ha segnato un -0,2% (+0,2% YoY, anno su anno) influenzato dal calo dei prezzi dell’energia pari al 2%.
Lo S&P 500, nonostante il recupero dai minimi dell’anno in area 1870 punti, resta abbondantemente sotto i livelli di maggio (massimo storico a 2150) e mentre scriviamo si trova sui 1990 punti. Il T-Bond trentennale dopo la discesa degli ultimi giorni, come a scontare un possibile intervento della Fed, sta velocemente tornando sui livelli di inizio mese sopra i 154$.
I Paesi emergenti, esportatori di materie prime, continuano a risentire della congiuntura globale. La fuga di capitali, dovuta al risk-off verso economie più solide, ha fatto sì che si rafforzasse il trend ribassista delle valute. Maglia nera per il Brasile, dove il real segna un -30,66% YTD, penalizzato dal downgrade di S&P che ha valutato junk bonds i titoli governativi. Il problema della corruzione, con l’emblematico caso Petrobras che ha coinvolto anche il Presidente Dilma Rousseff, e un’economia cresciuta molto senza però riuscire a creare delle basi solide per il lungo periodo sono alla base della situazione estremamente negativa che avvolge il Paese.
Medesima situazione per la Lira turca, con un -22,14% YTD. Ribassi superiori al 10% anche per il Rublo, il Peso messicano ed il Rand sudafricano. Il forte indebitamento in dollari di questa categoria di Paesi (oltre 80% per Perù e Cile, il 74% per la Turchia ed il 53% per il Brasile), dovuto ad anni di tassi prossimi allo zero, ha creato ulteriore instabilità sul mercato valutario nell’ottica di un ormai prossimo rialzo dei tassi da parte della Fed.
Intanto il governo cinese, dopo aver attuato misure trasversali, sembrerebbe essere riuscito ad arginare almeno momentaneamente la fuga di capitali, che ha portato le borse a tracolli improvvisi e ripetuti. Il Shanghai Composite, dopo aver rotto a ribasso la soglia dei 3000 punti a fine agosto, si trova ora all’interno di un canale laterale tra tale livello e i 3250 punti. L’equilibrio resta tuttavia sottile e nel caso i dubbi sulla crescita dovessero essere rinforzati da dati negativi nell’ultima parte dell’anno, la forza dei ribassisti potrebbe tornare a prevalere con nuovi allunghi alla rottura dei 2850 punti, minimo degli ultimi 12 mesi. Altrettanto intricata la questione giapponese, S&P è intervenuta con il downgrade a A+ (1 notch) sul rischio che la politica monetaria di Abe si riveli insufficiente ad invertire il trend di crescita e che il livello del debito, già ben oltre il 200% del PIL, continui a crescere senza sosta.
Timidi rimbalzi invece nelle ultime settimane, per le quotazioni delle principali commodities. Il petrolio, dopo i minimi toccati a 38 $ al barile, ha intrapreso la via del rialzo che ha spinto le quotazioni poco sotto i 50$. Stessa sorte è toccata al rame, che dopo aver toccato i minimi dal 2009 in area 2,25$, ha messo a segno in pochi giorni un rialzo prossimo al 10%, raggiungendo i 2,45$. Tuttavia, questi rialzi sembrerebbero essere semplici movimenti tecnici avvenuti dopo profondi ribassi, e le previsioni a medio termine restano pertanto negative. Sotto pressione, poi, l’intera industria del carbone. L’esplosione del gas naturale, meno caro e meno inquinante, per la produzione di energia ha fatto sì che il prezzo della materia prima sia ormai il 70% inferiore rispetto a soli quattro anni or sono.
Infine il Vecchio Continente. Dopo i pesanti ribassi di fine agosto, gli indici stavano tentando da giorni uno stentato recupero. Il movimento laterale dell’Eurostoxx50 tra il livello supportile a 3160 punti e la resistenza in area 3300 ben descrive un flag rialzista, che tecnicamente prelude ad allunghi soltanto con nuove violazioni. A livello macroeconomico i paesi Periferici (Spagna e Italia su tutti) mostrano segnali convincenti, si tratta ora di portare avanti il percorso di riforme strutturali per consolidare la crescita e renderla sostenibile nel lungo periodo.
Sull’obbligazionario tornano a prevalere gli acquisti. Lo spread tra il BTP ed il Bund resta prossimo ai 115 punti base, dopo che sul finire del mese scorso aveva subito un allargamento di poco superiore ai 20 punti. L’Euro-Dollaro, pur senza mostrare ancora alcun trend strutturale, prosegue il suo movimento rialzista iniziato sui minimi di marzo e si trova al momento a 1,1450. Nuovi cali, magari anche al di sotto del supporto di area 1,08, potranno probabilmente presentarsi solo nell’ultima parte dell’anno quando, forse, la Yellen porrà la parola fine al volo delle colombe.
Mentre scriviamo gli indici europei sembrano non aver gradito la prudenza della FED, sebbene alcuni commentatori attribuiscano le correzioni in atto a semplici prese di profitto. Lo scenario parrebbe però rimanere invariato, l’attesa è rimandata almeno fino a ottobre.
Ranking
Chi sale | Chi scende |
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Fondi di liquidità area euro | Azionari Paesi emergenti |
Obbligazionari Euro Governativi BT | Azionario Pacifico |
Note
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