Quello che sembrava un anno iniziato sotto i peggiori presagi si sta rivelando meno drammatico di quanto paventato. Dopo un 2018 difficile ed in particolare un dicembre a dir poco nefasto (la quasi totalità dei listini ha chiuso il mese in grave flessione, così come i bond high yield e short term) gennaio ha permesso un brillante recupero che ha coinvolto pressoché ogni classe di attivi.

Alcune borse archiviano il primo mese del 2019 con performance a doppia cifra (ad esempio Turchia, Russia e Brasile), ma anche le piazze europee ed americane registrano risultati eccellenti, che nella maggior parte dei casi hanno permesso di recuperare brillantemente le gravi perdite delle settimane precedenti. Tra i settori maggiormente performanti troviamo nuovamente il biotech, che alza la testa dopo un trimestre davvero duro, ed altri settori tipicamente ciclici, come le materie prime, l’energia e l’immobiliare. Il recupero ha coinvolto non solo l’equity, ma anche gli asset obbligazionari, in particolare quelli ad elevato rendimento ed i convertibili. Come sempre i risultati dei bond sono legati a doppio filo con le dinamiche del Forex, sul quale si evidenzia un generale indebolimento dell’Euro, che incrementa le performance degli investimenti esposti alle valute straniere. In rapida ascesa troviamo il Rand sudafricano, il Rublo russo ed il Real brasiliano, mentre il dollaro Usa cede, anche se di poco.

In Europa lo spread si sta raffreddando, mentre sale lievemente il differenziale con Gilts e Treasury. In generale sui mercati si respira un certo clima di fiducia dopo un trimestre nero, ed ancora una volta si intravede la mano delle banche centrali. La prima riunione del 2019 del Fomc – l’organismo della Federal Reserve incaricato di sorvegliare le operazioni di mercato aperto – ha infatti fornito una visione della Banca centrale in controtendenza rispetto al passato più recente.
La nuova impostazione dell’istituto è decisamente più cauta, pur dovendo confermare la solidità della ripresa americana. Se i dati macro, complessivamente buoni (il tasso di disoccupazione è stabilmente sotto al 4%), non giustificano un cambiamento di rotta, le tensioni sui mercati finanziari hanno indotto la Fed a modificare corposamente le prospettive di politica economica. In particolare il Comitato ha sostanzialmente cancellato il prossimo rialzo dei tassi, che si sarebbe dovuto verificare a marzo. Con l’inflazione ancora debole, la Banca centrale rappresentata da Jerome Powell ha affermato che attualmente i tassi – tra il 2,25 ed il 2,50% – cadono su un livello neutrale, cioè né accomodante né restrittivo, e che pertanto non appare più necessario procedere con ulteriori correzioni.

Analisi di mercato: quanto pesano le decisioni delle banche centrali

Da più parti è stato sollevato il sospetto che Jerome Powell, che solo qualche mese fa era apparso fortemente falco, abbia alla fine ceduto alle pressioni della Casa Bianca, ma le accuse sono state prontamente rispedite al mittente accompagnate da considerazioni sull’insostenibilità del debito pubblico Usa e dal suggerimento di sfruttare il momento positivo dell’economia per affrontare il problema. A ben guardare, si potrebbe asserire che Powell abbia volontariamente posto un freno al rally azionario che imperava da quasi un decennio e che si sarebbe potuto facilmente trasformare in una bolla, ma allo stesso tempo abbia ritenuto necessario fermare anche la caduta libera in cui sono precipitati i mercati, determinando così un range di oscillazioni piuttosto ampio e sostenibile nel medio termine, coerente con uno scenario positivo ma in lieve rallentamento.

La Fed dovrebbe essere in buona compagnia. Ci si attende che anche la Bce sia pronta a lanciare nuove misure espansive nei prossimi mesi – si vocifera di un nuovo piano di TLTRO in marzo – e che sia quindi pronta a fronteggiare una nuova eventuale recessione. Non solo, la Bank of Japan ha confermato la sua disponibilità ad attuare una politica monetaria ancora più accomodante nel tentativo di raggiungere un tasso di inflazione accettabile.

Quello che traspare è che probabilmente quello che doveva rivelarsi un periodo di liquidità temporaneamente abbondante potrebbe invece trasformarsi in una nuova concezione della normalità, volta a sostenere una dimensione economica e finanziaria che per struttura, dinamiche e dimensioni è ormai incompatibile con i tradizionali modelli econometrici. Dal punto di vista operativo sarà quindi necessario adottare un approccio ai mercati maggiormente improntato sulle aspettative collettive piuttosto che sui fondamentali macroeconomici, ed è questo un tema che dal punto di vista etico ben si presta al dibattito.

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Note

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Luca Lodi

Luca Lodi

Competenze:
Head of R&D di FIDA, Finanza Dati Analisi, ha maturato competenze in quantitative finance, risk management, asset allocation, risparmio gestito, compliance, consulenza finanziaria e comunicazione. Coordina le attività di ricerca-sviluppo e formazione del gruppo (FIDAmind). Sviluppa metodologie quantitative per l'analisi di portafoglio, di strumenti e mercati finanziari.

Esperienza:
Coordina l’ufficio studi FIDA che realizza studi ed analisi ad ampio spettro utilizzando trasversalmente metodologie quantitative, tecniche e fondamentali. Docente presso l'Università di Torino (Scuola di Management ed Economia), si occupa di analisi quantitativa dei dati finanziari. Giornalista pubblicista, collabora con diverse testate editoriali.
Negli anni precedenti ha collaborato con ADB S.p.A come responsabile del settore Banche Dati e poi dell’Ufficio Studi.

Formazione:
Ha una laurea in Economia. Ha frequentato diversi corsi di specializzazione tra i quali “Global Asset Allocation” (SDA Bocconi), Frontiers In Fianancial Markets Mathematics (Università di Bologna).

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